Sono sempre di più coloro che scelgono le Marche per trascorrere un weekend fuori-porta. D’altro canto, si tratta di una terra che, coi suoi cento volti e i mille modi di essere, sa venire incontro alle più diverse esigenze dei visitatori: non è un caso se finanche il suo nome è al plurale! E così ecco turisti provenienti da ogni dove popolarne le spiagge (su molte delle quali sventola una bella bandiera blu), visitarne i musei, ammirarne la natura ancora selvaggia e viverne i borghi più piccoli e autentici.
Ma l’amore?
Le Marche si prestano anche a un weekend romantico? La risposta è sì. Ed è proprio un itinerario da innamorati, quello che oggi ho intenzione di proporvi.
Indice
Sulle orme di Paolo e Francesca: Gradara

Un weekend romantico nelle Marche non può che partire da Gradara, antico castello che conobbe le gesta di Paolo e Francesca, le stesse gesta rese immortali dai versi che Dante volle loro dedicare nel V° Canto dell’Inferno.
Oggigiorno si usa affiancare alle vicende degli sventurati amanti l’appellativo di leggenda, anche se – è bene notare – il tutto si basa su fatti realmente accaduti. In effetti, furono la scarsità di documenti e il gran numero d’artisti che, commossi dalla storia stessa, vollero raccontarla alla loro maniera, aggiungendo particolari su particolari, a trasformare un amore vero in una sorta di fiaba.
Ciò che è certo è che l’adolescente Francesca dovette subire con l’inganno un matrimonio politico, un’unione non gradita ma utile a suggellare un’alleanza: si fece credere alla giovane che le sarebbe toccato per marito l’avvenente e gentile Paolo, sottacendo il fatto che costui l’avrebbe sposata per procura, ovvero a nome del di lui fratello Gianciotto.
A cose fatte, Francesca non poté che fare buon viso a cattivo gioco, ma certo il suo stato d’animo di lì a pochi giorni – nello scoprirsi maritata a un uomo irascibile, volgare, e molto più vecchio di lei – dovette mutare alla stessa maniera del vino che si fa aceto.
A quel che si dice, con Gianciotto costantemente in quel di Pesaro per sbrigare il compito di Podestà e nell’avversità a lei riservata dalla famiglia dello sposo, a palazzo la vita della ragazza prese a scorrere lenta e nella più totale solitudine. Vuoi per il senso di colpa dell’essersi prestato all’inganno, o vuoi per semplice piacere, fatto sta che tra i pochi a farle visita c’era Paolo, che la intratteneva con la lettura del libro che racconta l’amore tra Ginevra e Lancillotto.

Presto l’amore scritto si fece scintilla per l’amore vissuto, e i due divennero amanti. Qualcuno dovette però informarne il rude Gianciotto che un dì finse di partire per Pesaro e, rientrato nella rocca per mezzo di un passaggio segreto, scoprì gli innamorati. Egli, fuori di sé per la gelosia, estrasse la spada per sferrare un colpo mortale ai danni del fratello.
Di sicuro Gianciotto non avrebbe mai immaginato che Francesca avrebbe frapposto il suo corpo tra Paolo e l’arma nel vano tentativo di proteggere l’uomo amato. Allo stesso modo, mai avrebbe creduto che quel duplice omicidio avrebbe reso eterno un amore.
E certo il borgo fortificato di Gradara – con le sue possenti mura, i camminamenti di ronda, le sue sedici torri di guardia, i continui richiami al passato espressi dagli oggetti esposti nei negozietti e nei musei, la bella Torre dell’orologio e la strepitosa rocca – di questo sentimento nobile sa essere eccezionale narratore.
Sassocorvaro e la Chiesa di San Valentino

Il nostro itinerario romantico nelle Marche continua, e ci porta a scoprire la bella cittadina di Sassocorvaro. A darci il benvenuto è il suggestivo Lago di Mercatale, diga artificiale nelle cui acque si specchia il borgo dall’alto del suo poggio.
Sassocorvaro, più che tra gli innamorati, è famosa tra gli studiosi di storia, di architettura e di pratiche esoteriche. La Rocca Ubaldinesca che sorge nel bel mezzo del paese è infatti il primo edificio progettato per resistere ai terremoti e alle armi da fuoco e, ricchissima di simboli, vuole rappresentare una vera e propria pietra filosofale.

Non tutti sanno, però, che a poche decine di metri dal celebre fortilizio – realizzato secondo i disegni di Francesco di Giorgio Martini sul finire del ‘400 – se ne sta un’altra struttura degna di nota: è la piccola Chiesa di San Valentino che, secondo studi recenti, parrebbe essere il luogo dove riposa il santo protettore degli innamorati.
Un posticino niente male per scambiarsi un bacio o una promessa importante, non credete?
Olimpia, la sventurata, e il castello dei Conti Oliva

Ancora dieci chilometri ed eccoci arrivati a Piandimeleto, cittadina oggi quasi del tutto invasa dalla modernità, ma che conserva nella sua bella rocca un evidente pezzetto del suo ieri più glorioso.
L’edificio, ricostruito dopo la distruzione avvenuta per mano delle truppe di Francesco Sforza nel 1445, si presenta come perfetto connubio tra fortezza militare e palazzo signorile: alla raffinatezza degli interni fanno da contraltare la possente torre di guardia, le merlature, i beccatelli, i camminamenti di ronda e gli altri elementi tipici delle strutture pensate per la guerra.
E proprio nelle magnifiche stanze di questo Palazzo, la tradizione vorrebbe ambientata una quattrocentesca storia d’amore poco conosciuta ma toccante come nessuna.
All’epoca dei fatti, Piandimeleto era dominata dai conti Roberto e Ugolino Oliva. Ed è in particolare la figura di quest’ultimo, quella che più ci interessa. Egli, sposato con Alessandra Gonzaga, aveva preso a subire in gran segreto il fascino di una damigella della consorte, una popolana di nome Olimpia.
La ragazza dovette certo mostrarsi gentile nei confronti del suo Signore, ma non ne era per nulla attratta: il di lei cuore batteva forte soltanto alla vista di Baldo, cavaliere al soldo proprio degli Oliva. E se gli ardori del Conte non volevano spegnersi era soprattutto per via del malevolo servitore Cecco che alimentava nell’animo del suo padrone piacevoli dubbi, con calcolate parole mutava nel di lui sentire la cortesia in promessa d’amore e, insomma, indicava certezze dove nemmeno c’era uno spiraglio aperto sulla possibilità.
Di sicuro dovette rimanerci di sasso, il povero Ugolino, quando Olimpia e Baldo approfittarono di una festa paesana per rendere pubblico il loro amore. Da quel preciso istante l’atteggiamento del conte nei confronti della damigella cambiò. Forse Cecco era riuscito a instillare un atroce dubbio nella mente dell’uomo: che la bella Olimpia si fosse fidanzata con un altro perché Ugolino non si era mostrato abbastanza risoluto?
E allora il Signore di Piandimeleto prese a seguire la sua bella, a sbarrarle la strada, a programmare incontri come fossero dovuti al caso: un atteggiamento che a Olimpia non ispirò l’amore, bensì la paura [ e che oggi si chiamerebbe stalking… N.D.R.].
Venne poi il giorno che Baldo dovette partire per una nuova impresa militare. Gli occhi di Olimpia, chiusa nella sua stanza, erano fissi al cavaliere del suo cuore, figura che allontanandosi si faceva via via più piccola all’orizzonte, quando qualcuno bussò.
I colpi venivano dal pugno del Conte Ugolino. Il potente, prima con voce suadente, poi sempre più iraconda, invitò la fanciulla ad aprire per un chiarimento. Olimpia non aprì, ma in un modo o nell’altro la porta dovette saltar via dai cardini. La damigella, con terrore di preda, non dovette trovare altra via di fuga che dalla finestra.
Ma quell’angelo era troppo carico di vita per poter volare.
PieroSara: la leggenda dell’amore di Piero e Sara

Ciò che rende famoso il territorio comunale di Genga sono le Grotte di Frasassi, un miracolo della natura scoperto solo negli anni ’70 e che da allora è stato visitato da quasi quindici milioni tra appassionati e semplici curiosi.
Un luogo così affascinante da finire sovente e meritatamente sotto i riflettori. Solo che quando tutte le luci vengono puntate in un’unica direzione, il resto della scena resta in ombra e così quasi nessuno parla più della caratteristica frazione di Pierosara, borgo fortificato inserito nel verde più selvaggio dell’Appennino per divenire avamposto militare, che un tempo rispondeva al nome di Castel Petroso.
Furono gli abitanti a voler chiamare il castello Pierosara, in ricordo di due sfortunati loro concittadini conosciuti, appunto, come Piero e Sara.
La storia, che da queste parti si tramanda di generazione in generazione, si basa su di un fatto che ha il viso d’una maledizione, un evento perduto in un giorno del XII secolo. E ora, se vi va di starmi a sentire, ve lo racconto.
Castel Petroso, vista la posizione dominante sulle valli del Sentino e dell’Esino, era feudo ambitissimo e certo non poteva sottrarsi alla competizione il Conte di Rovellone, nobile conosciuto anche per essere Signore di Rotorscio. Questi un giorno, accompagnato da un manipolo di cavalieri, si presentò al borgo per soppesarne i punti di forza e debolezza prima dell’acquisto.
Il nobile dovette certo trovare conveniente la spesa, ma più che ai sistemi difensivi l’occhio del Conte rimase rivolto a Sara, una popolana cui nemmeno i cenci che l’agghindavano sminuivano la grazia.
Forte dei sui titoli, il Signore di Rotorscio non tardò nel farsi avanti ottenendo tuttavia null’altro che un perentorio rifiuto.
Furono i ragazzini del paese – che fingendo di giocare dalle parti dove s’erano radunati i cavalieri, si misero ad origliare – a scoprire che il peggio non era ancora passato. Quello che riferirono agli adulti fu che la truppa sarebbe tornata la mattina seguente e, approfittando dei lavori che avrebbero condotto i paesani nelle campagne, avrebbero rapito Sara.
Gli abitanti organizzarono la difesa. Ma se i bimbi si mostrarono scaltri, il nobile non si comportò in maniera meno astuta: fu la notte, non la mattina, che vide lui e la sua squadra presentarsi a Castel Petroso.
Tutto l’abitato era immerso nel sonno, solo il nervosissimo Piero non riusciva a dormire: fu proprio lui a dare l’allarme, a elemosinare l’aiuto della sua gente. Le porte d’accesso al borgo vennero sbarrate e gli uomini abbandonarono le case per scendere in strada a combattere e, contro ogni previsione, a cadere furono le spade, mentre ben saldi nelle mani callose rimasero vanghe e forconi.
Quando le porte cittadine vennero nuovamente aperte, gli assalitori ancora in vita decisero di battersela a gambe. Anche il conte era tra questi, ma la sua fuga durò qualche passo appena: troppo ardente era il fuoco dell’umiliazione subita e così egli tornò sui suoi passi per spegnere l’insopportabile fiamma col sangue di Sara.
Piero si gettò sul nobile, finendo trapassato dalla stessa spada che aveva appena posto termine all’esistenza dell’amata. Con l’ultimo soffio di vita, il ragazzo si trascinò fin sul corpo di Sara, in ultimo abbraccio così potente da resistere quasi un millennio nella memoria collettiva e dare nome a un borgo.

Cosa mangiare e dove dormire durante un weekend romantico nelle Marche
La lista dei luoghi romantici sparsi per il territorio marchigiano, come di sicuro vi immaginerete, non si compone solamente dei posti appena citati. Il nostro itinerario, però, si estende già per parecchi chilometri e allungarlo di altre mete sarebbe trasformarlo in una corsa a perdifiato.

C’è ancora qualcosa, però, che vorrei farvi conoscere: la cittadina di Pergola (dal 2019 uno tra i ‘Borghi più Belli d’Italia’) e il mare di colline che la circonda, un colpo d’occhio che sembra la più tipica delle immagini da cartolina che la Regione Marche sa esprimere.
Ecco perché, abbandonata Piandimeleto e con Genga distante appena un quarto d’ora d’automobile, vi consiglio di soggiornare al Meraviglia B&B. Si tratta di uno straordinario casolare piantato nelle campagne attorno l’abitato e che nel corso del tempo pare aver assorbito l’essenza stessa del territorio.

I prezzi, vista la bellezza e la tranquillità che ammantano la struttura, sorprendono per quanto accessibili. Pulizia e cortesia, poi, superano a piè pari l’asticella che fissa lo standard.
Sul mangiare non ci sono dubbi: Pergola è la terra del tartufo, e passare da queste parti senza assaggiare un piatto a base del prezioso tubero sarebbe un vero peccato agli occhi di Dio (e finanche a quelli dell’oste). A fine pasto non fatevi poi mancare una bella chiacchierata con la vostra dolce metà e un buon bicchiere di Visner, un vino di visciole che risulta essere tra i prodotti tradizionali più apprezzati.
