Il nostro weekend in Casentino, la valle aretina posta al confine con la Romagna, è stato un incontro fugace. Un blitz fra foreste e borghi che tuttavia non ci ha impedito di rimanere impressionati dalla bellezza di questo stralcio di Toscana: forse meno nota, comunque impareggiabile. Ce ne siamo accorti ancor prima di arrivare attraversando le onde verdi e sinuose della Consuma. E ne abbiamo avuto conferma al nostro arrivo a Pratovecchio: piccolo borgo dal sapore inequivocabilmente paesano, con quelle case fuse l’una all’altra e le grandi campane delle chiesa, dal rintocco così forte da trasportarti immediatamente indietro nel tempo.
Da qui, siamo risaliti dolcemente fra faggi, aceri, carpini, ornielli e castagni, stupendoci ad ogni curva per il mutare del colore del fogliame, fino ad arrivare al centro di Badia Prataglia. Questa piccola località rappresenta il punto di partenza per le escursioni nel territorio, anche perché qui si trova un piccolo, ma accurato centro visite. Negli spazi accoglienti dell’ufficio informazioni del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi si trova infatti un piccolo museo con approfondimenti sulla vita degli alberi, sui chirotteri e soprattutto sul lupo: la vera star locale. Le installazioni sono molto carine, con apparati multimediali particolarmente adatti ai bambini. Di grande impatto è la presenza di un lupo imbalsamato con effetti sonori che, vi garantisco, incutono quasi timore. Qui si possono reperire tutte le notizie utili per organizzare un soggiorno nel parco e stabilire le tappe per conoscere il territorio rispettando le proprie esigenze. Si capisce infatti immediatamente che l’area protetta, a cavallo fra Toscana ed Emilia Romagna, offra itinerari per escursionisti esperti, famiglie, amanti dei borghi e viaggiatori curiosi. Prima quindi raccontarvi le nostre, credo che meriti un piccolo approfondimento.
Indice
Il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi 
Sul web è conosciuto come “la foresta più colorata di Italia“. Difatti si stende come un mantello sulla dorsale appenninica e unisce due ambienti molto diversi: quello europeo e quello mediterraneo dando origine ad un ecosistema peculiare in cui crescono più di 40 specie di alberi ed essenze quasi uniche. A questo fattore si unisce la varietà delle quote che passano da una fascia collinare a quella propriamente montana, toccando il punto più alto nel Monte Falco (1658 m.). Inoltre si sono conservate alcune faggete primarie, tanto che una parte di queste è stata inserita nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità assieme ai boschi dei Carpazi.
Questo puzzle ambientale non potrebbe dunque che “fiorire” di colore in autunno accendendosi di una tavolozza bruna, arancio, giallo e rossa difficile da scovare altrove. Tuttavia questo parco non è da tenere in considerazione solo per il foliage: la zona è ricca di torrenti, cascate (per esempio quella dell’Acquacheta) e risorgive che la rendono una destinazione amena anche in primavera. Basti pensare che proprio qui, dal monte Falterona, nasce il fiume Arno (e devo dire che quando accanto a un torrentello ho trovato scritto il nome del fiume amato da Dante mi sono davvero stupita). Un ambiente ricco di acque e boschi è naturalmente l’habitat ideale per molti animali. Il re, lo abbiamo visto, è il lupo, così diffuso al punto che il Parco organizza veri e propri appuntamenti per ascoltarne l’ululato. Senz’altro più facile è, a detta degli abitanti, ascoltare i “cozzi” dei cervi, che, nel periodo autunnale lottano per amore, o incontrare un daino. Senza contare gli svariati uccelli, anfibi, pipistrelli e altri piccoli mammiferi.
A questo punto, vi sarà chiaro il carisma di questo territorio: una vera oasi in cui il tempo pare essersi fermato e in cui si può cercare una nuova sintonia con la natura. Probabilmente anche questo ha contribuito a tingere il bosco di misticismo tanto che la zona può essere considerato un vero rifugio spirituale contando su due corpi monastici, l’Eremo di Camaldoli e il Santuario della Verna, e molti altri luoghi religiosi. Si capisce dunque che non possa bastare un solo weekend per esplorare un territorio così ricco, ma, magari, ci si può fare un’idea.
Il sentiero natura
Punto di partenza di un tour conoscitivo, possibile anche per chi non sia allenato ad andare in montagna e a chi porti con sé i bambini, possono essere dunque i sentieri Natura. Noi abbiamo scelto proprio quello di Badia Prataglia. In realtà, l’attacco del sentiero si trova sopra l’abitato, in corrispondenza del ristorante Il Capanno. Ha di bello che è corredato da pannelli esplicativi che raccontano il bosco: gli alberi, i torrenti, gli animali e le altre particolarità che si incontrano nel cammino. Da notare che il sentiero viene dato per accessibile, ma, secondo noi, lo è solo nel primo tratto. Presto infatti si restringe e si fa accidentato e non è certo percorribile con passeggini o carrozzelle. Di contro, i pannelli sono anche in linguaggio braille, rendendo fruibile la loro lettura anche ai non vedenti. Detto questo, devo ammettere che sia davvero bello. Si cammina in mezzo ai faggi, ritti come sentinelle, che innalzano i rami e le foglie dorate verso il sole. A terra, il sentiero è così pulito da sembrare un tappeto. Ogni tanto spunta un acero che dà movimento a questa foresta immensa e quieta. Si attraversano quindi alcuni ponticelli sui ruscelli, in questo periodo in secca, ma che in primavera devono far sembrare questo luogo il vero bosco di Bambi. Vi assicuro che è una passeggiata piacevole che mette il buon umore. Naturalmente i camminatori esperti hanno altre possibilità: il monte Penna, per esempio, è considerato uno dei luoghi migliori per osservare il foliage. E Qui potete trovare molte altre escursioni.
Eremo di Camaldoli
Terminato questo primo giro e il pranzo proprio al ristorante Il Capanno, era doverosa per noi una visita a Camaldoli. Ecco, se venite da queste parti, non perdetevi l’Eremo di Camaldoli e il Santuario della Verna. Perché ogni tanto fa bene confrontarsi con scelte di vita antitetiche alla nostra quotidianità. In particolare a Camaldoli, nella brevissima visita, si sbircia letteralmente nella vita dei pochi eremiti rimasti. Il tour è rigidissimo e se si sgarra tutto il gruppo viene buttato fuori. Si può vedere solo ciò che mostra la guida e non ci si può allontanare neanche un secondo dal gruppo per scattare una foto. Mi viene da pensare che consentino le visite solo perché gli servono le offerte che si lasciano all’entrata, altrimenti ne farebbero volentieri a meno. Ma chi sono i Camaldolesi?
Nel 1024 San Romualdo fondò la Congregazione Benedettina di Camaldoli. Essa, come dimostra ancora oggi il suo stemma raffigurante due colombe che si abbeverano a un unico calice, si compone di due anime: quella ascetica e quella monastica, più comunitaria, ognuna con la propria sede: la prima l’eremo e la seconda il monastero. Romualdo in questo modo voleva coniugare la tradizione orientale anacoreta, solitaria e meditativa, con quella occidentale cenobitica, aperta alla socializzazione. Mentre i monaci dunque sono favorevoli all’incontro con gli esterni ed hanno anche una foresteria, tutto il contrario avviene nell’eremo.
Qui non soltanto non si può interagire con gli eremiti, ma loro stessi vivono al più confinati nei propri ambienti. Un tempo, ci ha spiegato la guida, la regola era molto più rigida. E quelle casette, le celle, rappresentavano quasi tutto lo spazio vitale di coloro che intraprendevano la strada del misticismo. L’aspetto curioso è che le stanzette hanno una struttura detta a “chiocciola” che si avvolge attorno alla camera principale. Ed esattamente come la chiocciola, il monaco si ritirava nel suo guscio a pregare. Durante la visita, si accede a quella che un tempo fu occupata dal fondatore dell’ordine, poiché tutte le altre sono in un’area interdetta ai turisti. Ci sono venti celle, ma oggi ne sono occupate solo nove perché “c‘è un calo delle vocazioni“, ci ha spiegato la guida, e quelli presenti provengono dalle svariate regioni del mondo in cui è attivo l’ordine.
Mentre attendiamo nel cortile, ne scorgiamo uno, al di là di un’inferriata. Quel cancello, d’un tratto, mi suggerisce una similitudine: i monaci sono come carcerati volontari, al contrario di quel che avviene nelle prigioni, loro possono uscire e siamo noi che non possiamo entrare. Ai nostri occhi può sembrare paradossale che qualcuno possa scegliere questa vita deliberatamente: niente svaghi, niente tecnologia e solo spazio per quel “hora et labora” formulato da San Benedetto molti anni prima di noi. Ma quell’uomo con la barba lunga dimostra l’opposto.
A dire il vero negli ultimi tempi anche gli anacoreti si sono aperti un po’ di più al mondo. E in varie occasioni durante l’anno è possibile partecipare ad esercizi spirituali, yoga, ritiri e meditazioni. Difatti, in linea con quello che era il pensiero di San Romualdo, questo luogo è diventato uno spazio per il dialogo inter-religioso che mette in comunicazione le vie verso il trascendente di natura orientale e occidentale.
Il tour contempla anche una visita alla chiesa e alla cappella di Sant’Antonio Abate. In quest’ultima è custodita una bellissima terracotta invetriata di Andrea della Robbia (se vi interessano le opere di quest’artista non dovete perdere una visita al Santuario della Verna e al Museo degli Innocenti di Firenze). Personalmente, però, mi hanno colpito moltissimo gli affreschi liberty di Adolfo Rollo che ricoprono quasi interamente le pareti. Sicuramente, una rara declinazione dello stile degli anni ruggenti in chiave religiosa.
Per finire, uscendo non dimenticate di osservare con attenzione La porta speciosa: si tratta di una suggestiva vanitas contemporanea, opera di Claudio Parmiggiani.
L’Antica Farmacia di Camaldoli
Lasciato l’eremo e la sua raccolta meditazione, avremmo voluto dare uno sguardo all’altra colomba: il monastero. Purtroppo, essendo ormai calato il sole, siamo riusciti solo a visitarne la farmacia che, tuttavia, merita assolutamente una sosta. Benché sia uno spazio aperto alla vendita, la farmacia è un luogo che racconta molto efficacemente la storia del monastero e le sue attività principali. La sua origine si lega alla presenza di un “hospitale” di cui si parla fin dall’anno mille. All’inizio si trattava di una “spezieria”, ma con la soppressione degli ordini del XIV e la chiusura dell’infermeria, venne convertita in farmacia. Ancora oggi, all’interno di pregiati mobili intagliati del Seicento, si possono ammirare importanti volumi scientifici originali che attestano lo studio non solo di erboristica, medicina, anatomia e chirurgia, ma anche della chimica (ci si trova davanti un’edizione originale di Lavoisier). Bellissimi sono poi i vetri di Venezia e le ceramiche di Faenza, Deruta, Montelupo Fiorentino. Ci si stupisce, infine, di fronte ad alcuni dettagli da “camera delle meraviglie” quali un coccodrillo e un armadillo imbalsamati appesi al muro (ma sappiamo che avevano un forte valore simbolico).
La farmacia continua ancora oggi a produrre moltissimi cosmetici, medicamenti, liquori di cui fare incetta nello shop annesso. Noi abbiamo provato il famoso amaro Laurus 48: vi lascio immaginare perché “48”. Vi segnalo che questi prodotti si possono acquistare anche on-line. Fra le ricette più celebri, cito la “teriaca”: antidoto potentissimo contro molti veleni.
Poppi
Per finire il nostro giro abbiamo scelto – con molta difficoltà visto le bellezze che il territorio offre – di fare una breve visita al paese di Poppi. Beh… preparate le macchine fotografiche perché questa è la Toscana da cartolina. Poppi è immediatamente riconoscibile anche da lontano per la silhouette maestosa ed elegante del castello dei Conti Guidi (progettato nientedimeno che dall’artefice di Palazzo Vecchio a Firenze, Arnolfo di Cambio). Non per nulla è stato insignito del riconoscimento dei Borghi Più Belli D’Italia. Risalire a piedi la strada che costeggia le mura ed avvicinarsi pian piano alla fortezza lasciando che gli occhi si appaghino della sua vista, vale già il viaggio fino a qui. Nel cortile davanti all’ingresso vi accorgerete inoltre della presenza di una statua dedicata al Sommo Poeta. Non è un caso, perché pare che Dante fosse ospitato nel castello per ben due volte, nel 1307 e nel 1311, e che qui scrivesse il canto XXXIII dell’Inferno (quello del Conte Ugolino, per intendersi).
Ma il luogo è talmente bello che basta affacciarsi dalle mura per abbracciare con lo sguardo tutto il Casentino. Meritano una visita anche la Badia di San Fedele, quasi all’altra estremità del borgo e il curioso Oratorio, esagonale, della Madonna del Morbo. Aggiungo che una storia che senz’altro piacerebbe ai più curiosi è quella della Torre dei Diavoli e della contessa Matelda, ma ve la racconto un’altra volta.
Ve lo ripeto, molto altro ci sarebbe da scoprire in questo territorio: splendide pievi romaniche, abbazie, laghi, montagne, mulini, incantevoli borghi, il Santuario della Verna per conoscere un luogo francescano e il lanificio di Stia per approfondire la storia di un settore che ha dato vita al tipico panno del casentino, la cosiddetta “lana cotta”, amata in tutto il mondo. Siamo partiti per ammirare il foliage, ma nel Casentino abbiamo trovato molto di più: storia, spiritualità, paesaggi magnifici e borghi autentici. Sono questi gli ingredienti chiave di una Toscana meno turistica ed affollata: una Toscana da intenditori.
Weekend nel Casentino: dove mangiare
Nel Casentino si mangia divinamente e la varietà di locali e ristoranti è talmente ampia che resta l’imbarazzo della scelta. Noi abbiamo provato “il Capanno” a Badia Prataglia e “Da Loris” a Stia. In entrambi, ci siamo trovati benissimo. Tortelli di patate, piatti a base di cinghiale, castagne, grigliate e tagliata la fanno da padrone.
Come arrivare nel Casentino
Il Casentino si trova a circa 30 km da Firenze. In autostrada, si esce a Firenze Sud e si percorre la paesaggistica strada della Consuma fino al Casentino. Da Bologna invece si prende la A14 e si esce a Bagno di Romagna e si prosegue fino a Ponte di Poppi percorrendo il passo dei Mandrioli.
Consigli pratici:
Se avete dei bimbi con voi o qualcuno che soffre il mal d’auto, premunitevi con anti-nausea: ci si trova a percorrere strade montane con tornanti, salite e discese. Portatevi qualcosa di caldo per vestirvi dato che si sale a quote montane.