Un’anziana signora ben vestita mi si avvicina e mi chiede incuriosita: “che cosa state facendo?”. Io la guardo e faccio un po’ le veci delle guide che sono molto indaffarate a segnarsi nomi e distribuire depliant: “stiamo aspettando di iniziare un giro turistico della Piazza. Se vuole, lì trova il pieghevole”, le rispondo. Siamo in Piazza Verdi, alla Spezia e stiamo per partecipare a Ci vediamo in Piazza Verdi, iniziativa promossa dal Comune della città ligure per avvicinare cittadini e turisti alla tanto chiacchierata riqualificazione di questo spazio urbano. Per la verità c’è un po’ di confusione. Osservo vari gruppi di persone che si formano qua e là perché non è ben chiaro dove si trovi il punto di raccolta per questa camminata didattica. Io stessa ho faticato un po’ a capirlo, ma nonostante questa difficoltà, è palpabile l’interesse delle persone per quello che sta succedendo. Così, un po’ alla spicciolata, i gruppi si fanno sempre più numerosi ed eterogenei: coppie, giovani, fotografi, famiglie con i bambini, comitive dal chiaro accento locale e personalità importanti del territorio. Se c’è qualcosa che senza ombra di dubbio si può affermare sul progetto della nuova Piazza Verdi è che nessuno ne è rimasto indifferente e questa, per un’operazione di questo tipo, è già una scommessa vinta. Ben venga tutto ciò che rimette in moto il cervello, che fa discutere, che fa parlare dei propri luoghi, riscoprirli ed amarli, anche a prezzo della critica più feroce.
Mentre sono immersa in questi pensieri, la nostra guida finalmente ci chiama. Sono molto ansiosa di cominciare il tour perché sto cercando delle conferme. Ammetto che io ho apprezzato il nuovo disegno della Piazza fin dalla sua presentazione. Perché mi piacciono le città capaci di guardare al futuro, che scommettono sul nuovo senza paura comprendendo a fondo il valore aggiunto che costituisce il dialogo fra “storico” e “contemporaneo”: l’unico in grado di mantenere viva la scintilla della creatività senza mummificarla in un museo. E questo è tanto più vero per una città come la Spezia, un unicum, credo, nel panorama italiano, che ha vissuto il suo personale “Rinascimento” non secoli fa, ma negli anni più dibattuti della storia d’Italia, quelli a cavallo del ventennio fascista e che, per questo, ha pagato il prezzo dell’oblio vedendo la sua arte frettolosamente archiviata come ideologica espressione dell’autoritarismo.
Poi qualcosa è cambiato. Dapprima timidamente, quindi sempre più orgogliosamente, La Spezia si è riscoperta bella. E ha cominciato a crederci. Proprio come sta accadendo adesso con questa visita. Davanti a noi, sfila la storia della Piazza, fulgido esempio della fertilità creativa di quegli anni censurati. Si comincia da Palazzo Boletto, costruito nel 1927 su disegno dell’architetto Bacigalupi, di chiaro stile liberty; quindi, dello stesso autore, Palazzo Contesso, un tempo stabilimento per cure elioterapiche. All’epoca la piazza era chiusa a est dal Politeama Duca di Genova, che venne demolito nel 1933 per lasciare spazio alla costruzione dell’asse stradale di via Veneto, che proprio a quel tempo prendeva forma, a seguito della demolizione del Colle dei Cappuccini (oggi piazza Europa). Ecco quindi spiegato perché quello che gli Spezzini hanno sempre chiamato “Piazza” a me è sempre apparso come uno slargo stradale, con uno spartitraffico centrale.
Tornando sul lato orientale, si scorge l’inconfondibile profilo di gusto eclettico- storicista del palazzo del Governo, opera di Franco Oliva, prolifico artista a cui si deve anche il disegno del Teatro Civico della Spezia. Ma sicuramente, oggi come ieri, il protagonista indiscusso dell’intera area è il possente Palazzo delle Poste: edificio, eretto fra il 1930 e 1933, che non teme il confronto con quello stile fiorito furoreggiante intorno. Un inno alla sobrietà, alle linee pure e alla volumetria vigorosa delle masse che ai contemporanei dovette apparire come un corpo estraneo. Lo schema è quello della basilica civile, per di più con una facciata accuratamente arretrata e rialzata rispetto al piano della Piazza. Si capisce che l’autore avesse le idee ben chiare, non solo non temeva confronti, ma sosteneva la superiorità del suo disegno che con, un solo gesto, rivoluzionava il gusto dominante.
Cos’era successo dunque in quegli anni alla Spezia che facesse arrivare a questo risultato? Il suo golfo affollato di navi, sorvolato da aerei e idrovolanti e sorvegliato dai sottomarini apparve come un eden per quel movimento che fin dagli esordi cantava la “civiltà meccanica“: il Futurismo. Basti pensare che lo stesso ideatore di questa corrente, Filippo Tommaso Marinetti, si innamorò a tal punto del Golfo dei Poeti da rinominarlo “golfo delle meraviglie”.
Qui, per la prima volta agli artisti era data la possibilità di misurarsi con il volo e arricchire il loro linguaggio con la nuova prospettiva aerea che faceva tabula rasa di tutto quanto sembrasse ancora accademico. La poetica futurista trovava nuova linfa vitale nelle linee allungate e sfuggenti e negli spigoli; nelle virate improvvise così come nei volumi definiti di visioni cartografiche, presagio di astrazione.
Sembrava dunque inappropriato che una città così proiettata in avanti non avesse un luogo adeguato alle telecomunicazioni, fra l’altro una delle tecnologie, simbolo del progresso, più apprezzate dai Futuristi. Venne quindi chiamato a progettare il Palazzo delle Poste un architetto caro al Regime, Angiolo Mazzoni, ingegnere e funzionario del Ministero delle Poste stesse.
Mazzoni fu profondamente attratto dai dettami marinettiani, al punto che nel 1934 ne sottoscrisse il manifesto dell’aero-architettura. Fu così che alla Spezia ne diede la sua personalissima lettura, plasmando un grande tempio che ricorda nelle forme e nei materiali le chiese romaniche o ancora prima, come sostiene qualcuno, gli acquedotti romani, con tanto di torre svettante. Naturalmente una tale costruzione non avrebbe mai potuto accogliere al suo interno ornamenti di stampo tradizionale, ricadendo nell’errore dell’odiato decorativismo. Vennero quindi chiamati a ideare un rivestimento celebrativo delle funzioni dell’edificio gli artisti Fillia (alias Luigi Colombo) e Prampolini. Questi pensarono a grandi plastiche murali che non dovevano apparire sovrapposte alle pareti, ma fuse con esse. In sintonia con il tema a loro assegnato, Le vie del cielo e del mare, i due sfruttarono l’andamento vorticoso e ascensionale della torre per concretizzare nei mosaici ceramici le più alte aspirazioni dell’aero-pittura futurista. Vanno in scena le prue gigantesche e incombenti delle navi, le traiettore decise di treni e aerei, la città con le sue fabbriche e le ciminiere, i fasci di luce che si rincorrono e poi gli elementi naturali: le montagne, gli astri forse anche i pianeti. Una sublimazione della realtà che dichiara persino un tratto spirituale.
Cos’è successo poi lo sappiamo bene: la storia ha fatto il suo corso e tutto quanto sia stato imparentato col Fascismo in Italia è diventato tabù, figurarsi quell’arte e quell’architettura che ne sposava gli ideali. Con il passare degli anni si è recuperato il giusto distacco critico per valutare quelle espressioni creative senza pregiudizi ideologici, tanto che si è ricominciato a parlare di quell’era artistica con orgoglio. Piazza Verdi, nel frattempo, si è fatta sempre più cara ai locali, nonostante nei decenni sia diventata trascurata e congestionata dal traffico.
E da qui, come ci spiega la guida, è ripartito il duo Vannetti – Buren, autore del progetto di riqualificazione della Piazza: per restituire alla città uno spazio vivibile e a misura d’uomo – certo – ma nel segno della continuità. Oggi come allora un architetto ha lavorato mano per la mano con un artista e, oggi come allora, la loro opera di lettura, lucida e moderna, ha incontrato critiche e resistenze.
In realtà il progetto è nato da un’attenta interpretazione della storia del luogo per non tradirne l’identità e piuttosto esaltarne le tracce. Una traccia su tutte era quella lasciata dalla distruzione del vecchio Politeama, uno “spazio socializzante” la cui assenza al centro della Piazza viene colmata nel progetto da ua sorta di cavea ribassata, con tanto di gradinate in cui sedersi o riposarsi. E’ lo spazio dell’incontro, di eventuali comizi, spettacoli, dibattiti ecc.. Ai lati di questa zona baricentrica, si trovano due ambienti ludici: a est, quello ispirato alla terra e, a ovest, quello dedicato all’acqua. In quest’area non si trovano delle vasche, bensì degli autentici tappeti d’acqua, molto bassi, in cui, secondo l’intenzione del progettista, si può pensare addirittura di rinfrescarsi durante la calura estiva. A tal proposito, la nostra accompagnatrice ha puntualizzato come l’idea sia venuta a Vannetti dalla presenza, accanto al Palazzo delle Poste, di una fontana oggi non più uso ed anzi ridotta a un cumulo di sporcizia. Personalmente, questi arazzi fluidi mi hanno fatto pensare al mare, l’elemento che più di ogni altro caratterizza la città ligure. Si capisce quindi quanto l’intervento dell’architetto sia stato lieve, con un tocco quasi sentimentale: un’opera di ripulitura, analoga a quella di un esperto giardiniere che, senza stravolgere l’aiuola in cui lavora, dona respiro e luce alle parti caratterizzanti.
Su questa prima opera di valorizzazione si innesta l’intervento di Daniel Buren, artista francese famoso nel mondo per le sue installazioni di public art. Il suo intervento è dinamico, giocoso e di impatto, ma non si tratta solo di un make-up. Buren pensa a una serie di portali colorati che, ricalcando gli assi principali della Piazza, vanno a costituire un cannocchiale che accompagna l’occhio oltre questo spazio urbano. A dire il vero è bello camminarci sotto: questi curiosi “archetti”, come sono stati ironicamente ribattezzati, invitano al movimento e all’attraversamento della piazza, mentre ci si perde nell’infinita rifrazione degli specchi. Basta osservare la gente: difficile resistere a un selfie davanti alle installazioni, così tutti si improvvisano fotografi. Buren ha pensato anche a dei pilastri luminosi, che dialogano con i portali e inseriscono nuovi punti di riferimento visibili anche al di fuori della piazza. La luce, insieme all’acqua, non è ingrediente accessorio, ma essa stessa materia costruttiva. Questo è tanto più percettibile la notte, quando questo luogo subisce una metamorfosi sensoriale, determinata proprio dai giochi di illuminazione e riflessi.Adesso, tutto mi appare più chiaro: senza la presenza dei pini al centro dello spartitraffico, lo sguardo è libero di vagare da un palazzo all’altro, di insinuarsi nei vicoli, di conquistare l’orizzonte per poi tornare a giocare. La luce alta dell’ora di pranzo fa brillare i colori dei portali: sono forti, direi stridenti. Nessuna concessione alle sfumature, nessun cedimento alla gradualità. Giallo come il sole; blu, come il mare; verde, come la natura e arancione come i frutti che si incontrano sulle colline liguri. Le linee sono decise; i rapporti, ortogonali, privi di ogni sinuosità. Quello che risalta è l’impianto urbanistico della Piazza e il suo ruolo di cardine della città. Quella stessa piazza un tempo teatro di inventiva e, poi, dimenticata che oggi torna a vivere più luminosa che mai. Sarebbe piaciuta a Marinetti e compagni la nuova Piazza Verdi? Io scommetto di sì.
Informazioni pratiche: arrivare a Piazza a Verdi alla Spezia è davvero semplicissimo. Col treno, dalla stazione basta dirigersi a sud lungo via Fiume e percorrere l’asse viario di via del Prione nella sua interezza. Al termine del corso, si svolta a sinistra in via Chiodo e si prosegue fino ad entrare nella Piazza. In auto, consiglio di lasciare la macchina presso il parcheggio del Palaspezia, vicino al raccordo autostradale e, da qui, proseguire con la navetta. A questo link verso l’azienda dei Trasporti Spezzina tutte le informazioni. Per quanto riguarda la visita dei mosaici futuristi, purtroppo, questi sono normalmente interdetti al pubblico ma, visto il successo dell’iniziativa, il Comune si sta attrezzando per organizzare visite guidate durante le domeniche e le festività. Vi ricordo che trattandosi di una torre al momento non è accessibile a passeggini e carrozzelle.
Allora, ci vediamo in Piazza Verdi? Fatemi sapere la vostra!
complimenti bellissimo articolo e blog molto interessante!