Spesso in paesi e cittadine italiani di piccole dimensioni si celano capolavori d’arte impensabili.
E’ capitato a tutti, magari girando in Umbria, di entrare nella piccola e defilata chiesa di qualche borgo e di trovarsi davanti una pala d’altare di una maestro del Rinascimento.
Se tutti, bene o male, sappiamo riconoscere le opere d’arte più o meno antiche, di solito abbiamo l’occhio meno allenato per quella che si chiama molto genericamente “arte moderna”, sia pittura, scultura o architettura.
A Marina di Massa, propaggine balneare della città di Massa, quasi all’estremo nord della Toscana, c’è un edificio molto alto che domina il paesaggio e lo skyline, visibile nei giorni senza foschia lungo tutta la costa, da Spezia a Viareggio.
Cos’è quella grossa cosa bianca, potrebbe chiedersi qualcuno.
Anche se sembra incredibile, si tratta di uno dei capolavori dell’ingegneria italiana del secolo passato.
La Torre Fiat, questo il nome più diffuso della Colonia marina Edoardo Agnelli ha compiuto da poco ottant’anni, ma non li dimostra affatto.
Lungo il mare della Toscana e della Romagna, sui monti della Lombardia, della Liguria e del Piemonte abbondano le colonie, dove ai tempi del Fascismo i bambini venivano mandati a fare le vacanze estive: è un mondo distintissimo dal nostro, oggi che costa meno andare due settimane in Irlanda che quattro giorni in Sardegna.
Da queste parti iniziarono a costruirle ben prima degli Anni Venti, ma solo con il Fascismo lungo la costa iniziarono a spuntare come funghi: merito del gerarca Renato Ricci, sottosegretario per l’Educazione fisica giovanile (1929-1935) e poi per l’Educazione nazionale (1935-1937), presidente dell’Opera Nazionale Balilla dal 1926 al 1937. L’uomo che aveva nelle sue mani il potere per plasmare lo spirito ed il fisico dei giovani italiani era di Carrara: naturale favorisse la sua terra natia con un gran numero di opere pubbliche.
Eccezionale per molti motivi è la Torre Fiat: i cinegiornali dell’epoca (1933) magnificarono la rapida costruzione e l’imponente cantiere che coinvolse mille uomini per tre mesi. Al di là della propaganda, la realizzazione di un tale complesso in così poco tempo ed in un’area, quale quella della spiaggia a rischio infiltrazioni e cedimenti strutturali, ingegneristicamente difficile, risulta ancora oggi un unicum.
Il complesso della colonia è formato da tre corpi distinti: “la Torre“, “la Pineta“, “la Terrazza” più altri edifici accessori.
La Torre, alta 52 metri e con un diametro di 25, viene concepita come un’unica, interminabile camerata con sviluppo elicoidale, larga 8 e lunga 420 metri, atta ad ospitare circa 800 bambini. La lunga rampa elicoidale, in origine pressoché priva di tramezzature, si svolge intorno ad un pozzo centrale con copertura ad ombrello, originariamente con soletta in vetro-cemento per aumentare la luminosità dell’interno.
L’assenza di tramezzature fu, all’epoca, una delle pochissime critiche rivolte al progettista.
Al momento dell’inaugurazione ogni spira dell’elica comprendeva due camerate da 20 letti, ognuna con il dormitorio per una suora, per due sorveglianti, un gruppo di lavabi ed i servizi igienici. L’ultima in alto ospita un serbatoio d’acqua da circa 100 metri cubi che alimenta tutti i servizi del fabbricato. Dal dopoguerra è divisa in camerate a sei letti intervallate dai servizi igienici e da camere singole per le sorveglianti. Poiché per tutta la lunghezza della rampa non c’è un solo punto parallelo al terreno, tutti i letti presenti hanno le gambe di misura diversa per non inclinarsi.
I collegamenti verticali sono assicurati anche da un ascensore, in grado di trasportare 30 persone.
Gli ambienti conservano in massima parte le finiture e i materiali originali e molta cura era posta nell’uso dei colori: allora bianco, marrone ed arancio, oggi prevalentemente bianco, azzurro e verde, forse per evocare l’atmosfera marina.
Entrarci dentro e trovarsi alla base di questa colonna e sentirsi come circondati dalla lunga spirale del corridoio è una sensazione molto forte, che dà un po’ il giramento di testa. L’illuminazione in questo grande volume è fioca, dall’alto scende una luce soffusa che più che illuminare mette in evidenza i volumi, rendendoli però quasi incorporei. Quasi una decina d’anni prima del Guggenheim di New York di Frank Llloyd Wright…
Non visibili normalmente, ma oggetto di studi ed ammirazione, sono le fondazioni dell’opera: considerate capolavoro di ingegneria, sono state analizzate da vari studiosi, in particolar modo provenienti dal Giappone. Scendendo sottoterra si possono vedere enormi piramidi trapezioidali collegate fra loro da una grande piastra di calcestruzzo che poggia direttamente sulla sabbia, a circa due metri e mezzo sotto il livello del terreno e di conseguenza un metro e mezzo sotto il livello del mare. Questa situazione crea una serie di controspinte statiche alle spinte idrodinamiche che creano una sorta di sottovuoto nei punti di pressione.
Se questi termini sono troppo tecnici, basta dire che ancora oggi, dopo ottant’anni dalla costruzione, la fondazioni sono asciutte e non presentano segni di umidità o di deterioramento, sia del calcestruzzo che dei ferri. E che la loro struttura è stata replicata, con le ovvie variazioni del caso, nel Giappone all’avanguardia nella tecnologia antisismica.
Legata alla Torre Balilla (il nome originale è andato naturalmente in disuso) c’è infine un’ultima curiosità: ha due gemelle!
Il progettista era l’ingegner Vittorio Bonadè Bottino, tecnico di fiducia del senatore Giovanni Agnelli. Appena l’anno prima aveva realizzato l’albergo Duca d’Aosta di Sestrière, sperimentando la forma cilindrica che andrà poi ad applicare pedissequamente in questa colonia e successivamente anche per la colonia montana FIAT a Salice d’Ulzio (1937), oggi trasformata in albergo.
Autore: Enrico Giuliani. Copyright: Bassa Velocità
Avendo dei parenti che abitano a Marina di Massa, ho passato numerosi estati proprio a pochi passi da questa torre! Leggere tutte queste informazioni storiche è stato molto interessante e mi ha subito riportato alla mia infanzia in quella spiaggia!
Sono stato ospite di questa colonia marina fiat nei mesi invernali da gennaio a marzo del 1968 bei ricordi.
Esperienze da raccontare che non esistono più..
per me era come un ghetto, 28 giorni di pianto e impossibilità di comunicare con i famigliari, perchè le assistenti ci facevano scrivere cartoline postali a matita e se il contenuto non era gradito le cancellavano e riscrivevano che andava tutto bene. In quegli anni però eravamo poveri, mai visto il mare e ci mandavano perchè faceva bene alla salute. E quelle visite prima di partire, peggio che da militare!! Ho ancora incubi adesso
Cara Emanuela, grazie del tuo commento, non deve essere piacevole riparlarne e mi dispiace molto! Non si sa moltissimo su come si viveva nelle colonie ho letto storie diverse, chi ha dei bei ricordi chi, purtroppo ha avuto esperienze come la tua, terribile! La Colonia di Marina di Massa ha avuto lunga vita, qui Enrico ce ne parla squisitamente dal punto di vista architettonico, ma sarebbe interessante ripercorrerne la storia anche dal lato umano e scoprirne il punto più buio, per far sì che certe cose non si ripetano più. Grazie della tua testimonianza!
Ti capisco benissimo , anch’io con i miei fratelli , ci abbiamo passato 28 giorni , l’estate più brutta della nostra vita , nella descrizione ho letto che la torre da sulla spiaggia giusto sulla spiaggia ! All’epoca era recintata e le onde passavano appena la rete del nostro fazzoletto di ” spiaggia ” , spero sia cambiato negli anni , per non parlare dellumigliazione riservata a noi tutti , quando ci facevano sedere sulle panche delle docce comuni , per vedere chi aveva i pidocchi e a chi li trovavano , facevano fare lo schampoo davanti a tutti gli altri bambini , le signorine poi si facevano abbastanza gli ” affari loro ” con i ragazzi e si leggevano le nostre lettere e le modificavano , quando venivano i genitori la domenica , tutti santi
Ciao Emanuela,
leggo il tuo post e quello degli altri.
Tagliando fuori qualsiasi posizione politica ma rimanendo sul tema delle sensazioni provate nella fanciullezza, anch’io purtroppo mi associo a quanto da te descritto, esperienze a dir poco allucinanti…..
I genitori spedivano i figli probabilmente pensando ad un ritorno in salute, ma anche per starsene un po’ tranquilli….
Bellissimi ricordi l’ultima volta il 1994….che bei momenti in quella torre…l’unico neo….le divise!!!!
se è stato un periodo buio come dite perchè vi siete adoperati nel raccontare ed esaltare questa opera architettonica che è stata realizzata negli anni trenta ?
Architetto Paolo Camaiora autore del libro “Le Colonie Marine del Littorio sulla costa Apuo-.Versiliese” edito nel 2011, organizzatore e relatore della celebrazione degli 80 anni di vita della Torre nel 2013, relatore di 25 convegni sulla storia delle colonie marine presso istituzioni scolastiche, ordini professionali e circoli culturali. Ricercatore storico sull’architettura, le arti applicate ed i materiali lapidei negli anni trenta dall’anno 2000.
Sappiamo benissimo chi è lei, architetto Camaiora
Forse, oltrechè all’architettura, dovrebbe però anche dedicarsi a quella che a scuola si chiama “comprensione del testo”
Infatti in tutto l’articolo si esalta la costruzione di questo manufatto e l’epopea ad esso legato. L’unico riferimento al “periodo buio” è in risposta ai ricordi dei duri metodi delle istititutrici nel commento di una lettrici.
Ricordi che non hanno data e quindi potrebbero essere ambientati nei tempi del governo Mussolini, De Gasperi, Fanfani o Moro
Non cerchi prese di posizioni e giudizi storico/architettonici anche dove non ci sono
Ho lavorato per una stagione in una colonia e devo dire che i metodi non sono molto cambiati molto. Le lettere dei bambini che riportano frasi di sconforto e scontentezza, venivano fatte “smarrire dalle poste”. I bambini non potevano fare foto, ma le facevamo noi “educatori”, eliminando tutte quelle con volti scontenti o piangenti, per poi preparare un book per i genitori. I bambini venivano assistiti durante le telefonate e non appena l’educatore si rendeva conto che il bimbo iniziava frasi del tipo “non mi diverto”, “vienimi a prendere” , interveniva per interrompere la conversazione in qualche modo. I bambini più piccoli (6-7anni), per assicurarsi che si lavassero realmente, venivano introdotti nudi ad uno ad uno in un grande bagno dove un educatore gli puntava addosso la doccia con frasi del tipo: “insaponati per bene, lavati la testa, lavati qui, lavati li”. Poi risciacquo, asciugatura, vestizione ed avanti un altro. Tutti i bambini di un gruppo in fila nudi in attesa della doccia. I bimbi comunque, si divertivano molto perché il tutto veniva svolto in un atmosfera giocosa e serena.
Gli educatori erano tutti (tranne me) ragazzi di una ventina di anni senza nessun tipo di back-ground legato al contesto. La sera dopo il lavoro (fine turno h1.00, più o meno), si riunivano per bere e fumare e giocare in vari modi, fino alle due, tre di notte ed oltre, per risvegliarsi alle h7.00.
Ti ringrazio per la tua testimonianza. Da mamma, mi vengono i brividi…perché ogni volta che si lasciano i figli si ha sempre quel pensiero: li tratteranno bene, saranno felici, gli educatori sono preparati? Io sono contraria alle telecamere in un luogo a cui si affidano i bambini, perché penso che prima di tutto ci debba essere fiducia. Allo stesso tempo però vorrei che le persone che curano l’infanzia fossero preparatissime e che ci fosse più attenzione da parte delle istituzioni…
Quando eravamo Grandi, come la pensi, il Fascismo è stato 1 dei Periodi di Massimo Splendore, x questo Paesucolo, e ora le Colonie, in cui si dovrebbe Inculcare 1 certa Disciplina, dovrebbero essere Obbligatorie, visto ke i vostri Adorati Figlioli;, hanno tutto, tranne 1 EDUCAZIONE!
chi ricorda il testo (e la musica) della marcetta che eravamo costretti a cantare durante le salita delle rampe a fine giornata?
Io ricordo la colonia di marina di massa per tre mesi sempre piena di pidocchi non ricordo che ci lavavano ogni settimana la doccia veniva fatta una volta al mese davanti a tutti ricotdo il petrolio che ci veniva messo in testa ricordo persino che una classe si prese l’epatite virale mia madre mi diceva che mi mandava per cambiare aria ma quando tornai piena di pidocchi e petrolio in testa se’ ne’ rese conto che quella colonia nom era affatto salutare certo mia madre ha vissuto la guerra e se allora fossero esistite le colonie per lei era salutare non voglio dire cattivere non aggiungo altro
Io sono stata nella colonia verso la fine degli anni 80, credo fossero 87/88. Ho ricordi sia positivi che negativi di quella esperienza, anche perchè per una bambina non è semplice stare via da casa lontano dai genitori e dal fratellino, specie i primi giorni. Mi ricordo che le educatrici erano molto giovani, ma sempre gentili con noi. Mi ricordo le canzoni davanti alla piscina mentre si aspettava il turno del proprio gruppo per entrare. L’ultimo anno che sono andata c’erano anche bambini stranieri per via delle filiali Fiat all’estero. Erano francesi, algerini e non ricordo se inglesi o tedeschi (mi ricordo meglio i primi due perchè in mensa eravamo nello stesso tavolo), e anche se parlavamo lingue diverse trovavamo sempre il modo di capirci, anche a gesti, perchè i bambini sono così, superano ogni confine. Ricordo che quando era ora di tornare a casa ero sempre un pò dispiaciuta di lasciare i miei nuovi amici. Mio fratello, che ha 8 anni in meno di me, invece già dai primi giorni voleva tornare a casa. Le educatrici non fecero nessun ostruzionismo, i primi giorni consigliarono ai miei di dare tempo al bambino di adattarsi, ma visto che lui non ne voleva sapere, se non sbaglio il 3 o 4 giorno i miei genitori sono andati a recuperarlo senza nessun problema. Credo che sia importante anche valutare in che anni sono state vissute le esperienze, non si può paragonare i metodi educativi attuali a quelli di 50/70 anni fa.