Si chiamano Janas, Cogas, Panas*: creature sovrannaturali che affondano le loro radici in una cultura sarda pre-cristiana, per alcuni addirittura in uno sciamanesimo delle origini comune a molti popoli. Molto spesso questi esseri volano. In alcuni casi hanno tratti vampireschi, in altri, sono anime inquiete che mai troveranno pace. Noi li chiamiamo streghe o demoni o ancora fantasmi: presenze notturne dimenticate, che in Sardegna alimentano un corpus infinito di riti, leggende e filastrocche, rivelando la propria immanenza nel quotidiano, specialmente quello agro-pastorale.
Accecati dalla bellezza delle spiagge, i visitatori spesso non si accorgono della straordinarietà della civiltà sarda che trova la sua unicità nel fatto di aver accolto infinite culture, ma di aver mantenuto un nocciolo identitario essenziale ed autoctono, mai scalfito dalle influenze esterne. Al centro di questo nocciolo sicuramente trova un posto di prim’ordine il rapporto con la natura e il tentativo di calamitarne le energie, di dominarla, se così vogliamo dire, attraverso le formule rituali e le due branche della magia: quella “bianca” e quella “nera”. E non bisogna pensare che con l’arrivo del Cristianesimo questo mondo sotterraneo sia stato sradicato. Anzi, secondo studi recenti, con l’evangelizzazione non si assisterebbe ad un azzeramento delle credenze originarie: queste avrebbero solo cambiato pelle rivestendosi di panni cristiani, mischiando forme devozionali pagane e cattoliche per dare vita a un sincretismo religioso inossidabile, pressoché unico.
Indice
La casa della strega: il museo S’Omo ‘e Sa Majarza
Sebbene non sia semplice inoltrarsi in queste tematiche, oggi, finalmente esiste un luogo che permette di compiere un primo viaggio in questo universo esoterico, denso e seducente: il Museo S’Omo ‘e Sa Majarza del paese di Bidonì, in provincia di Oristano, una specie di Triora sarda. Ho avuto il piacere di visitarlo durante il mio ultimo soggiorno in Sardegna in compagnia di Daniel, Presidente della Pro Loco. Ed è di questo che voglio parlarvi in questo articolo.
Bidonì è un minuscolo paese di 150 anime affacciato sulle rive del lago Omodeo. Stando a quanto Daniel ci ha rivelato, l’interesse per la stregoneria e i culti misterici qui è stato stimolato da una scoperta eccezionale avvenuta negli ultimi anni: il ritrovamento di un tempio romano dedicato a Giove nel vicino monte Onnariù. Questo fatto, di notevole importanza storica, ha confermato le leggende che già circolavano sul luogo. Da sempre infatti a Bidonì quel monte è rivestito di un’aura sacrale. E ci sono storie che raccontano di un tesoro sepolto e mai più portato alla luce: forse la saggezza popolare serba ricordo di quel tempio esecrato dal Cristianesimo. E forse il piccolo centro dell’Oristanese sorge su un luogo emblematico della sopravvivenza dei culti pagani anche dopo lo sbarco del monoteismo.
Questa è stata dunque la scintilla che ha acceso nel borgo lacustre il desiderio di approfondire gli studi sull’esoterismo in Sardegna e allo stesso tempo di parlarne ai turisti più attenti svelando un patrimonio ricchissimo che intreccia medicina naturale e devozione, mondo magico e storia, stigmatizzato dalla religione cristiana prima e dal pensiero positivista poi, ed oggi riabilitato e ricollocato al centro delle civiltà rurali.
Per illustrare al meglio le tante manifestazioni dello stregonesco in Sardegna, il museo è stato suddiviso in varie sezioni che analizzano l’esistenza di figure dedite alle arti magiche e la diffusione capillare nelle comunità contadine – e non solo – della convinzione dell’esistenza del soprannaturale, vissuto come parte integrante del quotidiano, dimostrata dall’uso degli amuleti e tramandata dalla tradizione orale.
Malefica, indovina, superstiziosa e maga: la storia di Julia Carta
D’impatto è l’allestimento dedicato a Julia Carta: una strega, secondo il Vaticano, tenuta prigioniera tra il 1596 e il 1606 e sottoposta a tortura presso le carceri dell’Inquisizione di Sassari. Si tratta, mi ha spiegato Daniel, dell’unica fattucchiera sarda di cui si hanno gli atti processuali integrali. Ad onor del vero bisogna dire che in Sardegna non ci fu mai una vera e propria caccia alle streghe perpetrata nelle modalità in cui si svolse in altri luoghi colpiti dai tribunali religiosi. Qui le veggenti e le guaritrici indagate non vennero quasi mai messe al rogo perché per la Chiesa erano di maggior interesse le derive protestanti che le arti magiche.
A Bidonì apprendiamo che il tribunale dell’Inquisizione in Sardegna fu istituito nel 1492 con sede a Cagliari. Quasi un secolo dopo, la sede fu spostata a Castelsardo, dove trovarono posto le aule processuali, le stanze per le torture e le carceri (non a caso oggi visitabili). Per individuare una strega si usava anche sull’isola il famoso Malleus Maleficarum “Il Martello delle Streghe“: il leggendario manuale anti-stregoneria, scritto nel 1487. Il processo di Julia Carta, riemerso nell’archivio storico di Madrid grazie alla ricerca di Tommaso Pinna dell’Università di Sassari, ha il pregio di raccontare per filo e per segno come avvenisse l’inquisizione, di mostrare i capi d’accusa e la confessione (estorta con la tortura) dell’indagata: si tratta di un documento unico nel suo genere che permette un salto nel tempo e nella mentalità dell’epoca. Julia venne accusata per “essere sospetta di eresia, malefica, indovina, superstiziosa e maga, e si presume che abbia stipulato patto col demonio“. I mezzi attraverso i quali effettuava i suoi rituali, tesi il più delle volte a liberare dalla malattia o a proteggere i suoi committenti, erano il fuoco e i suffumigi. Molti degli ingredienti che essa adoperava e le parole che essa pronunciava per avverare i suoi sortilegi (“brebus”) si possono quindi conoscere grazie alle riproduzioni esposte nel museo. Osservandole, mi ha colpito il ricorrere di invocazioni cristiane, l’uso dell’acqua santa, di pietre estratte dalle chiese o da altri luoghi sacri al Cattolicesmo mischiati a sostanze come urina, olio, ossa in polvere. Questa commistione dimostrerebbe ancora una volta come nella visione di chi praticava la magia in terra nuragica non ci fossero due sistemi antitetici di credenze, Cristianesimo da una parte, paganesimo dall’altra, ma una loro compenetrazione. Si capisce quindi come gli elementi carismatici della religione ufficiale andarono ad affiancarsi a quelli di matrice più arcaica senza scardinare l’interpretazione del mondo a questi ultimi soggiacente.
Gli amuleti
Questa profonda radicazione della credenza nel soprannaturale nel pensiero sardo è dimostrata anche dal diffondersi degli amuleti. Ce ne sono per ogni occasione: dal più comune su Kokku, chiamato anche Sabegia o Pinnadellus a seconda della zona d’uso, che proteggeva dal malocchio, in specie i bambini (ve ne ho già parlato in questo articolo), all’antichissimo occhio di Santa Lucia, o, ancora, la cyprea, la bellissima conchiglia di buon auspicio per la fertilità, e su Koru, il cuore, simbolo di fedeltà, indossato per proteggere un giuramento. Se ne vedono quindi alcuni atti a garantire il latte alle mamme in attesa e altri abbinati ai curiosi stuzzicadenti (spuligadentes). Quello che unisce tutti questi oggetti apotropaici è il fatto di costituire eccentrici gioielli forgiati in raffinata filigrana d’argento, spesso fusi con crocifissi, madonnine e altre immagine sacre.
Fra l’altro la collezione di Bidonì è una delle poche che conserva pezzi originali (altri talismani si possono osservare al Museo Etnografico di Nuoro e, in riproduzione, al Museo Porcu Satta di Gavoi): un motivo in più per visitarla.
Le streghe e le fate
Ampio spazio è dedicato infine alle creature notturne che emergono dai racconti orali, dalle filastrocche, dai detti popolari – e persino dal Carnevale – a cui qui viene dato un volto mediante l’interpretazione artistica.
Anche in questo caso, parliamo di un bestiario amplissimo. Fra i tanti esseri mostruosi vi è ad esempio la figura della coga o sùrbile. Parliamo di una sorta di vampiro che al calar del buio si introdurrebbe nelle case per succhiare il sangue ai bambini in fasce ancora privi di battesimo. Secondo alcuni studiosi* in realtà in origine la sùrbile non avrebbe avuto un ruolo negativo ed anzi si sarebbe posta come protettrice di mamme e neonati: per questo in alcune zone dell’isola essa veniva chiamata “mamma erodas”. Questo personaggio avrebbe quindi subito un rovesciamento proprio in epoca cristiana, quando, non riuscendo a vanificare la fede che in essa veniva riposta, si sarebbe provveduto alla sua demonizzazione. Una volta compiuto il ribaltamento, tanta era la paura che la macabra creatura esercitava sulle puerpere che divenne di uso comune mettere davanti alla porta di casa dei neo-genitori una manciata di chicchi d’orzo e appendere alla culla del bimbo una falce. Dal momento che secondo la tradizione la sùrbile non sapeva contare, con questi stratagemmi si sarebbe distratta e non avrebbe portato a termine il suo compito.
Ma nell’immaginario soprannaturale del popolo degli Shardana, c’era posto anche per creature benevole e belle come le Janas: piccole fate notturne nascoste nelle grotte ( in realtà necropoli, ribattezzate per questo domus de Janas) sparse un po’ in tutta la Sardegna. Con la loro pelle diafana, l’abito rosso, il telaio d’oro e il setaccio d’argento, le Janas rientrano senz’altro fra gli esseri misteriosi più affascinanti che popolino le tradizioni popolari, non solo sarde, ma di tutto il mondo.
Una risata ci seppellirà
Un’ultima sezione del museo è dedicata a un tema controverso, in stretta connessione con la magia: la medicina popolare e le strane storie che parlano di morte. Fra le tante, mi ha colpito quella del “riso sardonico” che spiega come nell’antichità fosse in uso sull’isola il geronticidio: quando cioè una persona anziana appariva troppo sofferente e malata gli si dava il “colpo di grazia” (e a questo concetto si connetterebbe anche la mitica figura della s’accabadora), non prima però di averla stordita con erbe che ne trasfiguravano il volto in un ghigno mefistofelico. Di tale inquietante pratica parla per primo Omero e ne rimane traccia nella toponomastica di alcuni luoghi protesi nel vuoto.
Leggenda o verità storica? Non lo si può sapere. Certo è che attraverso il percorso conoscitivo imbastito a Bidonì si solleva finalmente il velo su una “terra di mezzo” arcana e sotterranea la cui vita scorre indisturbata sotto il clamore della Sardegna da copertina. Una terra al confine fra fede e magia, medicina e spiritualità, vita e morte, profondamente legata all’acqua, alle pietre, al suolo da cui si alzano gli ultimi sussurri di una lingua antica e perduta.
Il Museo S’Omo e Sa Majarza informazioni pratiche
Il Museo S’Omo e Sa Majarza si trova nella parte alta del paese di Bidonì nell’ex sede municipale. Questo Comune è posto all’interno dell’area geografica del Barigadu ed è il centro che in via più diretta si affaccia sul lago Omodeo. Per accedere al museo, aperto su prenotazione, il modo più semplice è chiamare l’amministrazione al numero 0783 69044, oppure contattare la Pro Loco:
Associazione turistica Pro Loco Bidonì
Indirizzo: Via Taloro, 3 – 09080 Bidonì
Tel. 3294155081
E-mail: proloco.bidoni@tiscali.it
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All’interno del museo potrete acquistare il libricino Majarza: ossia libro sopra le streghe di Sardegna a partire dalla villa di Bidonì sulle rive del fiume Tirso. Oppure acquistare le bellissime bamboline Janas realizzate artigianalmente da Laura Marras.
Post in collaborazione con la Pro Loco di Bidonì
* Fra le creature notturne che popolano le notti sarde, vi sono le Panas: le anime delle donne morte di parto che si recano ai ruscelli a sciacquare i panni dei loro bimbi per sette anni consecutivi. Per alleviare la loro pena si soleva lavare un vestitino da neonato per sette anni, oppure porre nella bara un pezzo di tela, ago e filo, forbici per cucire e un pettine e un ciuffo di capelli del marito da pettinare. In tal maniera lo spirito tormentato sarebbe stato occupato e non sarebbe andato in giro.
**Dolores Turchi, Lo Sciamanesimo in Sardegna, Newton Compton Editori
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Ma è fantastico questo tuo post! L’ho letto tutto d’un fiato: è un tema molto interessante perché (credo) la Sardegna sia piena di leggende & storie di streghe & magia (chissà quanto ha da raccontare).
Dall’altra è anche un pezzo di storia: ho fatto la mia tesi su come il Concilio di Trento (e relativa Inquisizione) abbia influenzato la carta stampata & l’arte. E ho letto davvero tante cose a riguardo: spesso era una strega solo colei che sapeva riconoscere e utilizzare le erbe come medicine. O semplicemente credeva in qualcos’altro che non fosse la chiesa cattolica.
Tutto quello che hai raccontato è un tassello molto importante per la nostra storia. Ho adorato questo tuo post, sappilo! (Ma io sono un pò di parte: hai toccato certe corde e io non ho capito più nulla!).
Grazie mille! La Sardegna è piena di storie di questo genere, ho dovuto davvero stringere al massimo. La tua tesi deve essere stata molto interessante. Io ho sempre pensato alle streghe come a donne libere del passato, che non accettavano ruoli convenzionali e che conoscevano le proprietà di erbe e medicamenti. E una donna libera è sempre pericolosa 😉