A Visso, nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, ci sono storie che sembrano uscire fuori da un libro di miracoli. Storie in cui protagonisti sono gli animali e in cui gli animali vanno d’accordo con l’uomo in un modo che non sembra appartenere alla nostra era. Sono storie di animali “ritrovati”, specie e razze ritenute ormai estinte, relegate nell’ultimo capitolo delle enciclopedie faunistiche e destinate a popolare un mondo di creature mitiche, come il dodo. E invece, in barba a tutte le previsioni, queste bestiole sono tornate a vivere, come l’araba fenice.
La Sopravissana dei Sibillini, cashemire d’Italia: una di queste storie è quella della pecora Sopravissana. “Al mondo ci sono tante pecore, ma “la” pecora è la Sopravissana” mi dice Silvia Bonomi, grandi occhi azzurri e sguardo schietto e sincero, come le sue parole. Ho incontrato Silvia e le sue “belve” come lei chiama le sue pecore, durante il mio weekend a Visso organizzato dall’Associazione Italiana Travel Blogger, l’Amministrazione Comunale della cittadina, la Pro Loco e l’Associazione dei Commercianti a sostegno delle aree colpite dal terremoto.
Silvia coltivava un sogno: avere quelle stesse pecore che allevava il nonno e che non esistevano praticamente più. Oggi Silvia, poco più di vent’anni, è a capo dell’Azienda Agricola La Sopravissana dei Sibillini e possiede circa 50 capi dell’amato ovino. Attenzione però, se state pensando a una novella Heidi, vi sbagliate di grosso. Silvia non ha nulla dell’ingenuità della pastorella tirolese e sa bene quello che fa. Ha studiato per anni il mondo animale avvicinandosi agli studi zootecnici tanto che alleva capi miglioratori di razza Sopravissana iscritti al Libro Genealogico, con la supervisione dell’Associazione Nazionale della Pastorizia. Vale a dire: il DNA delle sue pecore è depositato. E così mi spiega: la razza sopravissana è il risultato di un incrocio effettuato intorno agli anni venti dell’Ottocento fra arieti merinos francesi e femmine vissane. Ecco perché la lana che se ne traeva era conosciuta come il “Cashemire di Italia”.
Con l’abbandono della pastorizia e la riduzione degli esemplari, la consanguineità ha indebolito gli animali fino a portarli al limite dell’estinzione. E così sembrava davvero impossibile che si potesse tornare a parlare dell’eccellente pecorella.
Ma Silvia non si limita alle parole: è una persona pratica. Perciò preleva un ciuffo di vello da un suo ovino e me lo porge per mostrarmi le caratteristiche uniche di questa pecora. Osservo quindi lo scampolo di peli lucido e setoso fra le mie dita, ne apprezzo la leggerezza e, seguendo le sue indicazioni, ne scopro la particolare “frisettaura” che è il segreto del suo valore.
Certo, per arrivare a questi risultati Silvia, aiutata dal suo compagno con cui condivide vita e passioni, ha guardato dritto all’obiettivo, senza alcuna distrazione. Ha girato stalle e allevamenti in ogni dove per scegliere i capi del suo bestiame. Li ha curati per anni debellando ogni sorta di malattia e selezionando il foraggio migliore perché, sono le sue parole, “gli animali devono stare bene”. Ogni giorno cambia loro la paglia della lettiera per abbassarne la carica batterica e porta le bestie al pascolo solo dove è certa non arrivino cinghiali che potrebbero contaminare l’erba di cui si nutre il gregge. Assiste tutte le nascite che avvengono nel suo allevamento, vegliando le partorienti per giorni, aiutandole nelle fasi più critiche e intervenendo direttamente in caso di difficoltà. Insomma, non si tira mai indietro.
Silvia ha anche una conoscenza lucida e disincantata della natura, molto distante da quella zuccherosa che ci propinano oggi i mass-media, e ne ha saggiato il lato più selvaggio. Per esempio, ha dovuto difendere il gregge dall’attacco dei lupi e, attingendo alla sua competenza in campo animale, si è affidata al senso di appartenenza di un cane particolare: il pastore abruzzese.
“La sua famiglia è il gregge” afferma. Ed in effetti io quasi non riconosco i suoi cani, che sono perfettamente mimetizzati fra le pecore, persino con i cuccioli: bianchi e morbidissimi come agnellini. Silvia li adora perché, da quando ci sono loro, le sue pecore non sono state più attaccate ed addirittura, mi racconta, i “suoi guardiani” stanno vicino agli ovini anche al momento del parto. Per questo, non potrebbe davvero farne a meno. Il loro acquisto è stata la scelta più azzeccata e dimostra, nel contempo, che la via della convivenza con il temuto predatore è una strada praticabile.Dopo anni di duro lavoro e di autentica vocazione per quella che è di fatto, una missione, Silvia guarda con orgoglio al suo bestiame e, finalmente, dice, “ci si sta accorgendo dell’importanza della Sopravissana per la biodiversità non solo del territorio ma del patrimonio faunistico italiano e si comincia a capire — con l’interessamento del Parco Nazionale dei Monti Sibillini — che questo ovino rappresenta una risorsa da tutelare e valorizzare“. Non si può negare tuttavia che questa presa di coscienza non sarebbe stata possibile senza la passione di persone come lei che, del tutto in contro-tendenza rispetto a quello che vorrebbe la società di oggi, ha rinunciato agli agi di una vita preconfezionata per realizzare il suo sogno agreste spinta da “un dovere morale nei confronti dei nostri nonni e dei nostri padri ” .
Ecco perché bisogna venire a Visso, parlare coi suoi abitanti e raccogliere le loro parole: per capire che quando storie di animali unici si intrecciano a pezzi di vita vissuta di persone come Silvia, un altro mondo è possibile.
Certe medaglie non si appendono alla giacca, ma all’anima“, scrive la ragazza sulla sua pagina facebook. Ed io penso che non ci siano medaglie al mondo più brillanti di queste.
Informazioni pratiche: la Sopravissana dei Sibillini di Silvia Bonomi si trova in località Valle Stretta, frazione di Ussita, a poca distanza da Visso. Per il prossimo anno Silvia vorrebbe produrre anche del formaggio. Per ogni informazione vi invito a consultare la sua pagina facebook.
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