Per tutti gli appassionati di storia, cultura e costumi sardi c’è un luogo che non dovrebbe mancare nella propria lista di viaggio: il Museo del Costume di Nuoro. Sappiate che se vi immaginate la classica collezione di oggetti della vita rurale che si trova in quasi ogni borgo di campagna, siete completamente fuori strada. Questo museo, che custodisce circa 8000 reperti risalenti da metà Ottocento agli anni cinquanta del Novecento, si distingue per un impianto estremante moderno e un criterio espositivo chiaro e piacevole.

Con 11 sale permanenti e 8 dedicate ad eventi temporanei, il museo ti prende per mano e ti accompagna alla scoperta della civiltà sarda. Mi sento di usare questo termine, “civiltà”, perché sono così tanti gli aspetti peculiari del vivere sull’isola che davvero limitarsi alla parola “cultura” mi sembrerebbe sbagliato. Girovagando nei tre piani dell’edificio si è catapultati in “un mondo a parte” fieramente ancorato alle proprie radici, mai rievocate in maniera nostalgica o retorica e che tuttora continuano ad alimentare lo spirito del popolo della moderna Ichnusa. Ma andiamo con ordine.
Il Museo Etnografico di Nuoro nacque in realtà nel 1956 come Museo del Costume. L’edificio fu progettato dall’architetto Antonio Simon Mossa, sul colle di S. Onofrio, ad immagine di uno dei borghi remoti che ancora si incontrano nell’entroterra dell’isola. Alla base dell’esposizione sta, come spesso accade, una collezione privata: la Collezione Colombini raccolta di mano di Pio Colombini, a suo tempo docente universitario a Sassari e quindi a Cagliari, che negli anni arrivò a possedere 1800 pezzi etnografici fra tessuti, ornamenti, pani rituali, maschere, abiti, armi ed altro ancora. Quest’importante collezione venne acquisita dal Museo negli anni Settanta.
Il percorso espositivo del museo del costume

Oggi il progetto espositivo si avvale di molti pannelli didattici, ma soprattutto ricostruzioni, ambientazioni, teche, cassetti e video. Nel nostro viaggio, noi siamo stati accompagnati dal personale che, con grande passione e perizia, ci ha facilitato l’interpretazione di ogni sala. Si inizia da uno sguardo al paesaggio: a sorpresa per molti turisti, non è solo il mare a costruire lo scenario sardo ma anche e soprattutto la terra. Terra per pastori, per culti agrari, per villaggi raccolti sulle pendici montuose. Poi una ricapitolazione storica, che anche in questo caso assume contorni diversi da quelli a cui siamo abituati. Si parla soprattutto di invasioni e passaggi di potere, dall’età nuragica ai Fenici, ai Romani, il Medioevo con i suoi giudicati, quindi i Savoia e poi l’unità con quell’Italia così lontana. Dopo questa panoramica, la Sardegna si direbbe un’isola tormentata che però ha saputo assorbire qualcosa da ognuna di queste culture, senza mai scalfire il suo forte nocciolo identitario. E questa sarà un’impressione continuamente rinvigorita durante la visita.
Pastori e agricoltori

Il percorso continua quindi secondo una schematizzazione basata sugli ambiti di produzione: l’agricoltura e la pastorizia in primis, quindi la caccia e la pesca. Ed è qui che con piacere abbiamo ritrovato elementi familiari delle nostre escursioni terricole. Il mondo del pastore con il suo “cuile”, gli abiti tipici, la produzione dei formaggi, la dura vita lontana dalla famiglia a seguito degli ovini, le regole non scritte del “codice barbaricino“. Ma anche il ruolo, centrale, delle donne, così ben descritto da Grazia Deledda, i riti e le credenze alla base del vivere quotidiano.

Stupefacente è la sala dedicata alla lavorazione tessile. Anche chi non ha dimestichezza con gli aspetti dell’artigianato sardo ha sentito nominare la bellezza dei tappeti locali. Ebbene qui si scopre che i tappeti sardi sono un’invenzione moderna: nelle case tradizionali, come abbiamo constatato anche nella Casa Museo Gramsci di Ghilarza, non esisteva il pavimento e i tessuti venivano usati per coprire le cassapanche portate dalla spose nel corredo nuziale. Semmai, l’unico caso in cui si parlava di “tappeto” ( “tapinu ‘e mortu” ), era quando bisognava depositare la salma a terra per il compianto. Ecco quindi sfatato un mito dell’artigianato sardo. Al di là di questa curiosità tuttavia resta indubbio il fascino di questo settore in cui spiccano i telai, in particolare quelli di tipo verticale, oggi quasi scomparsi anche dalle aree in cui erano maggiormente diffusi. Ma più di ogni altra cosa a catturare lo sguardo nella sezione è l’esuberanza di fogge e colori, chiaramente riconducibili a un repertorio iconografico diverso da regione in regione, tale da costituire una fonte inesauribile di idee per designer e stilisti contemporanei.
Sacro come il pane

Un articolo a sé stante meriterebbe quindi l’esposizione del pane cerimoniale: una raccolta che non può non lasciare stupefatti a partire dal fatto che non credo esista al mondo niente di simile. Quello che nasce come “pane quotidiano” si trasforma in Sardegna in un oggetto sofisticato figlio di una manualità sopraffina e che alla fine assurge in sé stesso a simbolo della cultura e dell’artigianato sardo. Oltre agli usi più classici, come il matrimonio, le celebrazioni pasquali nel quale il pane si fa rosa, colomba, ghirlanda mossa e leggera, hanno colpito i nostri occhi “pani” più particolari di forma antropomorfa che sembrano nascondere qualche segreto, qualche brebus magari, legati a chissà quali riti. Oppure, pani più pratici, come quelli modellati a mo’ di succhiotto. Insomma, un universo denso da esplorare con calma.
L’abito fa il popolo

Dopo questo primo bagno nella cultura isolana, ci si rende conto della sua unicità, tanto che si capisce perché la Sardegna sia considerata un micro-continente. E sicuramente si tocca con mano lo splendore e la fierezza raggiunto dalle sue genti quando si sale al terzo piano del Museo di Nuoro. Lì, un corteo di donne e uomini in abiti tradizionali si dirige, come in ogni festività, verso un immaginario Santuario ricostruito. In compagnia della guida, ci siamo persi ad ammirare i dettagli delle vesti, diverse per ogni paese. Le gonne, i copricapo, i grembiuli, i corpetti stretti sotto al petto, le cinture e gli scialli. La ricchezza degli ornamenti e dei gioielli; le spille. I pizzi, le trine, ricamate sapientemente, i tipici bottoni, in pregiata filigrana d’oro, e gli amuleti (che andavano portati nascosti). Rari frammenti di un mondo raffinato distante e ineffabile, in cui si presagisce la persistenza di nucleo atavico, puramente mediterraneo. In esposizione, poi, ci sono alcuni modelli veramente curiosi: il massimo lo si ha forse nella gonna di Ittiri che all’occasione diventa copricapo.

Ma sono così tanti i particolari che non si smetterebbe mai di guardare. In realtà la conoscenza di questi oggetti ornamentali può essere approfondita grazie ai contenuti dei cassetti e delle teche espositive. A questo punto si è pronti per l’ulteriore spazio dedicato all’arte orafa e all’arcana dimensione degli amuleti: coralli, conchiglie, tessuti, oro, pietre, simboli sacri e reliquie pagane, rosari, medaglie ancora una volta si sommano e si mescolano in creazioni preziose, stravaganti e irripetibili. Ci sono, fra gli altri, su coccu, su koro, crocifissi e ispulingadentes: quegli amuleti dall’uso così particolare (stuzzicadenti) rintracciabile solo sull’isola. Monili tanto ricercati che anche il turista più distratto non potrà non accorgersi di quanto quest’isola offra e custodisca ben oltre le sue spiagge chiare.

Ovviamente un museo così esauriente non poteva tralasciare gli altri due emisferi, strettamente intrecciati, cui ha dato vita la civiltà sarda: la musica e il carnevale. Due campi di cui abbiamo già parlato in svariati articoli a cui vi rimando per approfondimenti. Qui, potrete fare una prima conoscenza con le maschere e gli strumenti più tipici della Sardegna.
In definitiva durante una visita al Museo Etnografico di Nuoro è come se si avesse in mano un cannocchiale attraverso cui guardare quest’isola così seducente e misteriosa. Una visione, un miraggio, che appaia e scompaia fra le onde, la cui anima inafferrabile si riveli solo a chi abbia voglia di lasciare le spiagge amate per immergersi sotto il blu dell’orizzonte.
Museo Etnografico di Nuoro, informazioni pratiche
Indirizzo: via A. Mereu, 56 , 08100 Nuoro
Tel. 0784 257035 – 242900
Orari:
Dal 1 ottobre al 15 marzo: apertura dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00 – Chiuso il lunedì
Dal 16 marzo al 30 settembre apertura dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 20.00 – Chiuso il lunedì
Biglietto intero: 5 euro
Biglietto ridotto: 3 euro riservato ai visitatori di età inferiore ai 18 e superiore ai 65 anni di età
Biglietto cumulativo: 7 euro per la visita al Museo del Costume e al Museo – Casa Deledda
Biglietto gratuito:
– Gratuità per tutti i visitatori ogni prima domenica del mese
– Gratuità per guide professioniste che accompagnano gruppi organizzati
– Gratuità per studenti e docenti accompagnatori in visita d’istruzione

