Non tutti sanno che la Provincia di Pesaro e Urbino, conosciuta principalmente per il palazzo di Federico da Montefeltro e per aver dato i natali a Raffaello Sanzio, possiede anche un volto misterioso. Un viso di tenebra, affascinante come pochi altri, che oggi vi racconto.

Eccole, allora, le 5 mete più misteriose di questo pezzetto d’Italia incastonato tra Marche, Umbria e Toscana!

E se poi dovessero farvi innamorare, QUI ne troverete delle altre.

Pietrafagnana

C’è, non lontano da quel che rimane dell’antica fortezza di Pietrarubbia, una conformazione di rocce molto particolare: è Pietrafagnana, anche conosciuta come la ‘piccola Stonehenge italiana’. Se questo luogo l’estate si colora dell’ambra gettatavi sopra da un benevolo sole e si riempie delle risate di curiosi e appassionati di trekking, nella cattiva stagione sa cambiare decisamente fisionomia: nuvole grigie e basse prendono a schiacciarlo mentre il vento ne spazza le pietre spoglie e tutto attorno si fa assordante silenzio.

Ed è probabilmente d’inverno che gli antichi abitanti del posto, forse suggestionati dal paesaggio divenuto desolato nello spazio di un attimo e dalla bufera che qui picchia sovente contro porte e finestre, hanno preso a ricamare attorno al sito numerose storie. E una di queste è entrata così in profondità nella cultura locale da lasciare appiccicato a Pietrafagnana lo scomodo appellativo di Dito di Lucifero.

Già, perché le rocce di cui parliamo sembrano avere la forma di una grande mano intenta a venir fuori dalla terra. L’indice pare alzato quasi a minacciare il cielo, a dire che la battaglia non è affatto finita. Ma a chi appartengono allora queste dita di sasso? Secondo la tradizione niente meno che all’angelo del male, scagliato qui da Dio in persona nel momento del tradimento.

La Rocca Ubaldinesca di Sassocorvaro, ovvero la ‘fortezza esoterica d’Italia’

L’idea comune sul come mai il piccolo Ducato d’Urbino sia riuscito a entrare a pie’ pari nella grande Storia è tutta attorcigliata attorno alla valente spada di Federico da Montefeltro. La tesi, però, potrebbe essere vera solo per metà: secondo recenti studi, infatti, anche un altro uomo dovette contribuire in maniera determinante alla causa.

Quest’uomo è Ottaviano degli Ubaldini della Carda, conte di Sassocorvaro e Mercatello sul Metauro, umanista, scienziato, filosofo, grande conoscitore di pratiche esoteriche e, con tutta probabilità, fratello dello stesso duca d’Urbino.

E proprio attorno alla figura di Ottaviano, ‘sapiente tra i sapienti’, si sarebbero andati agglutinando artisti e uomini di scienze tra i più dotati per fare della capitale feltresca una delle culle del Rinascimento italiano.

Cosa aspettarsi quindi dalla dimora di un personaggio di tale caratura? Certamente qualcosa di straordinario, come, appunto, è straordinaria la Rocca Ubaldinesca. Si tratta in effetti della prima fortezza progettata (da Francesco di Giorgio Martini) per resistere a terremoti e armi da fuoco. La cosa incredibile è però un’altra: oltre a essere fortezza, questo luogo era una scuola pensata per divulgare un ‘sapere superiore’, una conoscenza destinata a pochi, di cui ancora oggi rimane traccia nei numerosi simboli che si celano nella struttura. Davvero curioso il De Alchimia, un’area allestita di recente entro l’edificio e che comprende un piccolo museo delle scienze utopiche (con annessa una biblioteca perfettamente fruibile di oltre 1600 volumi sul tema) e un vero e proprio laboratorio alchemico funzionante.

Il tesoro macabro delle Marche: la Chiesa dei Morti di Urbania

Una piccola cappella, destinata a non far molto rumore per oltre quattro secoli, era quella fondata nel 1380 dal signor Cola de Cecco ad Urbania. Nella prima metà dell’Ottocento, però, il minuto luogo di fede balzò agli onori della cronaca e per un bel pezzo rimase sulla bocca di molti tra ricercatori e semplici curiosi.

Cos’era successo? Era accaduto che con l’editto di Saint Claude (che voleva che i corpi dei defunti trovassero l’eterno riposo fuori dai centri abitati) alcuni operai avevano attaccato i lavori di traslazione delle salme precedentemente seppellite presso l’area adiacente la nostra chiesuola e, sorpresa!, gli era toccato di veder venire fuori dalla terra gente morta da secoli che sembrava aver abbandonato la vita non più tardi d’un mese prima.

Questo sbalorditivo stato di conservazione (si pensi che alcune mummie ancora oggi presentano capelli, unghie e organi) è stato spiegato dagli scienziati del National Geographic con la particolare conformazione del terreno che ha consentito un’aereazione continua dei corpi e con la presenza di una speciale muffa che è andata ad agire sugli stessi come una sorta di antibatterico ( e se vi interessano le mummie potete leggere anche la storia di quelle di Palermo).

Oggi presso la Chiesa dei Morti sono visibili ben 18 mummie, quasi tutte con nome e cognome e una particolarissima storia di morte da raccontare.

Tra paganesimo e cristianesimo: la Grotta Ipogeo di Piagge

A Piagge, oggi frazione del Comune sparso di Terre Roveresche, se ne sta il luogo più misterioso di tutto il nostro piccolo tour. Misterioso nel senso che è ancora tutto da svelare.

Questa basilichetta rupestre, scavata a forza di braccia nelle viscere della terra, risale probabilmente al periodo di transizione tra paganesimo e cristianesimo. E’ un luogo antico e intriso di spiritualità, eppure nuovo: relegato per anni a magazzino per insaccati da un macellaio locale, è stato (ri)scoperto nel 1996 quasi per caso da uno studioso di storia locale e aperto al pubblico solo nel 2016.

Le uniche cose certe sull’Ipogeo sono la sua forma a croce e il gran numero di simboli che ne ricoprono le pareti, ancora quasi tutti da decifrare.

Fatto curioso è che al termine della visita quasi tutti gli ospiti alludano all’esperienza come a una sorta di strano bagno d’energia e sacralità.

La Medusa del Mengaroni

A dare il benvenuto ai tanti che si presentano per una visita ai Musei Civici di Pesaro è lei: la Medusa del Mengaroni, una tra le opere d’arte più inquietanti di tutti i tempi.

Appariscente, sopra le righe e burrascoso come pochi, Ferruccio Mengaroni si avviò per puro caso all’arte: quando a soli dodici anni gli riuscì di farsi espellere da tutte le scuole del Regno, fu il padre che per punizione lo spedì in un laboratorio di ceramica. Qui però il giovane più che rimuginare sugli errori sembrò trovare se stesso, e in breve divenne uno dei maggiori artisti italiani del ‘900.

Non si conosce il come mai Mengaroni, tanto ossessionato dalla sfortuna da girare abitualmente con appeso al collo un battaglione di amuleti, ad un certo punto della carriera volle cimentarsi con la Medusa (simbolo non certo benaugurale). E nemmeno perché diede all’opera il proprio volto terrorizzato, o il motivo per il quale, suscettibile com’era, non abbandonò l’impresa neppure quando lo specchio usato per l’autoritratto si ruppe.

Quello che invece si sa per certo è che nel 1925 il nerboruto artista era intento ad aiutare alcuni facchini nell’arduo compito di issare i dodici quintali della cassa contenente la Medusa sino al primo piano di Villa Reale a Monza in vista di una prossima mostra. Fatto sta che il peso, forse eccessivo o forse mal bilanciato, consentì alla cassa di sgusciare via dalle corde che la  imbrigliavano. Il carico finì la sua orribile corsa proprio addosso allo sfortunato Mengaroni, uccidendolo sul colpo.

I soccorritori, sconvolti, dissero che i volti di opera ed artista erano gli stessi, modellati su espressioni di identico terrore.


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