A Marina di Massa c’è un luogo dove sta accadendo qualcosa di prodigioso. Forse, per capirlo bisogna conoscere il posto ed amarlo come chi ci ha vissuto e vi ha passato teneri momenti dell’infanzia o dell’adolescenza. Bisogna scordarsi di splendide cartoline da depliant turistico: qui gli approdi sono ruvidi e melanconici, ma, proprio per questo, puri. Ci si arriva costeggiando le rovine di vecchie colonie dismesse, un tempo, “onore e gloria” del Regime. Già soltanto scorrendone i nomi si può ricapitolare la maggior parte della storia industriale d’Italia: Fiat, Edison, Olivetti… oggi, questi edifici sono in parte oggetto di recupero, ma per lo più stanno lentamente ritornando allo stato di natura, facendo la gioia di molti appassionati di fotografia urbex.
Di fronte a uno di questi ruderi, la Colonia Motta, si apre una piccola spiaggia che non scintilla per il candore di “sabbia fine come talco”, ma per il sovrapporsi disordinato di migliaia di ciottoli di marmo: qua e là spunta anche qualche pezzo di mattone portato dai fiumi e venuto da chissà dove, e poi quarzo, marmo rosa, grigio e tutte le varianti della pietra che forma le massicce montagne, le Alpi Apuane, laggiù, sullo sfondo.
Anche il mare qui non è gentile e la verità è che tutto questo è opera dell’uomo: frutto di un lavoro portato avanti nei decenni per fermare l’impeto delle burrasche e per garantire agli abitanti l’ambita spiaggia. Almeno, così mi hanno sempre raccontato da piccina: “A Massa la sabbia la portava via il mare e così con l’idrovora l’hanno presa a Carrara”. Sempre in lotta questi 2 paesi, perfino per gli arenili. In effetti, fino a poco tempo fa si poteva ancora vedere accanto al Porto di Marina di Carrara l’affascinante scheletro di questo marchingegno post-atomico. Adesso non c’è più e non so sia del tutto corretta questa storia, fatto sta che la battaglia con i flutti continua ancora ai nostri giorni e su questi lidi, fra scogliere, rimpascimenti e palificazioni, non si distingue più cosa sia originario e cosa no.
Come ci insegnano le seicentesche nature morte, tuttavia, alla fine la vita fa il suo corso e anche qui si è ripresa i suoi spazi indifferente a tutti gli accadimenti. E così si è insinuata fra le finestre con inestricabili rampicanti e fra gli scogli, gettando mitili patelle e alghe marine.
Ed eccolo il prodigio di cui vi parlavo. In questo scenario, a tratti poetico a tratti inquietante, si è inserito un nuovo elemento.
La scogliera dell’amore: là, al limitare della spiaggetta di ciottoli, dove si stende potente verso le acque una distesa di massi di marmo, un singolare demiurgo solitario ha cominciato a plasmare nella viva roccia versi e figure. E’ questo forse l’ultimo tassello di un palinsesto perennemente in bilico fra natura e artificio: la sua sublimazione estetica in una visione cosmica fatta di brandelli di sogni e memorie. Personale o universale non importa. [ctt template=”1″ link=”NFh6L” via=”no” ]Qui si parla di amore inteso come quel sentimento che “muove il cielo e le altre stelle” come diceva Dante, ma inteso anche come forza irrefrenabile, desiderio carnale, come quella passione che emerge dai frammenti di vita che l’autore ci racconta.[/ctt]
Lui, è un pensionato, di nome Evaristo, che firma orgogliosamente ogni suo intervento. Si potrebbe inserire nella schiera di quelle menti un po’ pazze ed eccentriche che sentono il bisogno di trasformare l’ambiente in opere totali a propria somiglianza. E per farlo costruiscono torri di memorie attraverso scampoli del proprio vissuto. Ogni pietra, ogni colpo allo scalpello è una ferita, un’esperienza e un ricordo. Non vogliono semplicemente farlo, lo “devono” fare, prepotentemente e selvaggiamente, rispondendo a un’urgenza interiore irrefrenabile e senza seguire alcun dettame stilistico. Evaristo in questo senso è come Umberto Bonini, e, come lui, ha scelto uno spazio che lo ha attirato a sé come una sirena. In questo caso si tratta di quella scogliera oggi ribattezzata “dell’amore”, non a caso testimone silenziosa di tanti incontri notturni a sfondo erotico.
Evaristo continua la sua opera con indefessa volontà tutti i giorni. E lo si può incontrare facilmente venendo alla scogliera, armato di scalpello e di oggetti simbolici. Camminando fra le pietre si ripercorre così la sua storia e allo stesso tempo si viene permeati dal suo messaggio panteistico. Proprio per questo ci ho portato il mio bambino. Perché l’amore è quello che scorre fra due anime e niente è più forte di quello che lega la madre al figlio.
Evaristo invece ci parla delle sue donne, dalle sue parole emergono ritratti sfuocati, bozzetti in bianco e nero, ognuno delineato attraverso i suoi tratti principali. Non so perché ma ho pensato a De André, a Marinella e a Bocca di Rosa: a un amore incondizionato per il genere femminile lontano da ogni stereotipo.
E così queste odi di marmo risuonano ancor più forti in questo paesaggio: corroso dalla ruggine, stretto fra lamiere e vetri in frantumi. Qui dove l’uomo ha tentato, senza successo, di imbrigliare la natura e dove restano pagine accartocciate della nostra Storia. Perché, come dice Evaristo, “L’amore aggiusta le cose storte”.
Scogliera dell’amore come arrivare: L’indirizzo esatto è Marina di Massa, Viale Lungomare di Ponente. Arrivati davanti al rudere della Colonia camminate fino a trovare la scogliera protesa sul mare. Oggi questa location è molto quotata fra gli instagrammers e persino come set per i matrimoni!
Leggendo questa storia su Evaristo mi viene in mente Guido il Flaneur e le sue scritte a Polignano a Mare. È meraviglioso come con poco riescono a entrare nel cuore della gente.
Ci ho pensato anche io sai? Io amo moltissimo queste forme di espressione… Forse si era capito ;D