Inizio col dirvi che non avrei voluto scrivere quest’articolo, o meglio: non avrei voluto scriverlo così. Infatti non sono riuscita a visitare questo luogo magico di cui vi voglio parlare, nonostante siano anni che ci giro intorno. Il Giardino della Galassia (o museo), questo il nome del sito, è un monumento speciale, il risultato di una “creazione ansiosa” mai stanca, che ridefinisce il territorio e lo plasma a modello del suo creatore come in molti altri casi al mondo più fortunati di questo. Penso al Giardino dei Tarocchi di Capalbio, dell’artista Nikki de Saint Phalle, o, per risalir a un filo genealogico più robusto, al Palazzo Ideale del Postino Cheval in Francia. Eppure, questa bizzarra architettura sulle colline di Calice al Cornoviglio non ha destato la stessa attenzione dei suoi fratelli maggiori.
Ben poco si trova on-line sull’opera, se non la pregevole raccolta di artisti outsider “Costruttori di babele“, punto di rferimento per chi voglia addentrarsi in un universo di bricoleur estrosi, pazzi, cocciuti e geniali allo stesso tempo. Rifiutati dalla critica dell’arte con la “A”maiuscola perché incatalogabili, perché non hanno e non fanno scuola, sono creatori liberi e naïf, senza codici o schemi ma precisi e scrupolosi. Anime inquiete capaci di scardinare ogni sillogismo di senso per assemblare una grammatica del fare alternativa, che sia rifugio, altare, viatico per il paradiso o pietra per il riposo eterno.
Ed è lì, in questo altrove baricentrico, che si colloca anche il Giardino delle Galassia: un castello auto-costruito con sassi di fiume, completato da scalinate, torri, un giardino terrazzato e tante sfere sospese nell’aria, come bolle di sapone fluttuanti verso l’alto. L’ha costruito pietra su pietra, questo demiurgo, Umberto Renato Bonini, pazientemente e con metodicità seguendo un disegno ben chiaro nella sua testa. Non si tratta di un diversivo, ma di una necessità, un’urgenza da colmare con frenesia perché mettendo a posto quelle pietre l’autore fa chiarezza nel suo animo, ne lucida le parti opache e ne riempie le ammaccature.
Sono tanti i colpi inferti alla sua vita: un mestiere che non gli appartiene, quello di palombaro, che lo spinge nell’abisso e lo annienta, per culminare nel crollo nervoso degli anni Sessanta. Segue il ricovero, l’elettroshock e il coma, in cui tocca il fondo del baratro. E laggiù, nel buio della coscienza, comincia la rinascita con una visione che gli indica la strada: un cammino verso la luce e la salvezza. Del resto dal fondo si può solo risalire.
E così Bonini, ripresosi dal coma, si mette subito al lavoro. Individua il luogo in una collina traboccante di ulivi in Valdonica: quel posto lo chiama, diventa la sua ossessione: è lì che può prendere corpo il suo sogno. Comincia con una stratificazione di rocce perché – è lui stesso a rivelarlo nel recinto del giardino – “le pietre di arenaria per costruire il mosaico a sostegno di questi pannelli sono state portate a spalla dei nostri antenati per costruire le loro case e le strade dei loro paesi. In questo modo per sempre saranno ricordati” . Sovrapporle è quindi una riconciliazione con il passato personale e dell’umanità, un gesto lieve e sapiente con cui ricuce il suo io frantumato. Dopodiché scolpisce: grandi teste di pietra, che ricordano forse proprio i nostri avi, silenziosi guardiani del nostro passaggio nel mondo; e, poi, fontane, bassorilievi e simboli animali.Infine piega il tondino di ferro: lo intreccia per dar vita a poesie colorate come su un arazzo e per scrivere le didascalie della sua vita. Le sue esperienze sono scandite in polittici come nei fotogrammi di un film. Scorrono date, massime, avvenimenti, anedotti e pensieri che confermano la lucidità del progetto. “Tesse la sua tela” Umberto, non per imprigionare prede ma per trovare un equilibrio e sentirsi in armonia con l’universo. Quello stesso mondo vorticoso e intangibile che lo invita a salire e a cui dà corpo e anima nei grandi pianeti metallici che sembrano quasi voler sollevare tutta la sua creazione e librarla in cielo come un’astronave.
E probabilmente è per questo che l’opera di questo man who sold the world resta ai margini, citata come curiosità locale, come una stravaganza deviata e deviante, frutto di un pensiero laterale percepito come libero e quindi pericoloso. Eppure lui lo sa: è “la strada giusta” quella che percorre. Ed per questo che il suo perfetto giardino sarà anche la sua tomba. Riposa, non a caso, dentro a una delle sue torri quest”architetto dei sogni frainteso e misconosciuto, perché una torre è anche un cannocchiale, dal cui fondo può finalmente ricongiungersi alle stelle. Già, quella era proprio la strada la giusta.
Informazioni pratiche: come vi ho accennato poco sopra purtroppo ho potuto solo sbirciare dalla serratura questa architettura affascinante. Per raggiungerla bisogna recarsi nella Val di Vara, seguendo le indicazioni per Madrignano e Calice al Cornoviglio:il sito visibile dalla strada in località Valdonica. Vi vivono ancora gli eredi dell’artista, a cui si può provare a chiedere una visita (io non ci sono riuscita!! Fatemi sapere se vi va meglio!).
Stupendo!! Mi piacerebbe moltissimo poterci andare… E tu lo hai descritto molto bene 🙂
Grazie Roberta. Questo posto mi ha stregato, non so perché ma sono sempre stata affascinata da queste creazioni “al limite”… Quando passi di nuovo da Speza ci andiamo! 😉
Che personaggio questo Bonini: ha piegato il ferro e modellato la roccia. Davvero è sepolto in questo luogo? Affascinante!
Così come affascinante è quella cancellata circondata dagli ulivi, altro simbolo di esoterismo e continuità nel tempo…sarà un caso?
Se si sparge troppo la voce c’è il rischio che Giacobbo ci faccia uno special 😀 😀
Un caro saluto Elena!
Giacobbo ce ne avrebbe qui in zona, che neanche ti immagini! A parte scherzi, è tutto vero! Peccato che queste cose non sembrino interessare alle istituzioni!
Il Giardino sembra un posto bellissimo. La prima foto mi ha stregato!
Grazie per la condivisione 🙂