DSC_4416A breve distanza dal passo del Bocco, nel bel mezzo di una foresta di faggi lungo le pendici del monte Zatta e servito solamente da una strada sterrata sorge dal nulla un imponente edificio di 5 piani, con 365 finestre (una per ogni giorno dell’anno), in stato di totale abbandono. Si tratta dell’ex colonia Devoto.DSC_4363

Passeggiando nelle alture vicine sbuca all’improvviso dal bosco e, specialmente nelle giornate nebbiose, sembra davvero di essere vittime di uno spettrale miraggio: un edificio del genere, completamente fuori contesto, è un’opera che al giorno d’oggi sarebbe a dir poco impensabile, e non ci vuole molta fantasia per richiamare alla mente scenari alla Shining.DSC_2146Il “collegio dello Zatta” venne costruito negli anni ’30, insieme a tutte le altre colonie montane o marittime dove ai tempi del fascismo e fino agli anni ’60 venivano mandati i bambini in vacanza: il centro nasceva in realtà come ricovero per i piccoli più bisognosi, costruito secondo le volontà del filantropo lavagnese Antonio Devoto (1832-1916) e con i fondi che questi aveva accumulato in Argentina.

DSC_4415Nella storia di fortunata migrazione di Devoto si ritrova anche l’origine di un toponimo nelle immediate vicinanze dell’edificio: poggio Buenos Aires (oggi area pic nic lungo l’Alta Via dei Monti Liguri). E credo sia interessante ricordare un altro luogo poco distante da qui che dimostra quanto la storia dei migranti liguri abbia contribuito a definire il territorio:  il Parco botanico di Villa Rocca a Chiavari.

DSC_4409Dopo la perdita delle  sue funzioni originarie, la colonia venne convertita prima a casa di cura, poi in centro di recupero per tossicodipendenti, quindi definitivamente abbandonata. Quello che resta oggi è un edificio cadente con silenti corridoi pieni di vecchie suppellettili vandalizzate. Dall’esterno, si notano subito i lunghi filari di persiane rosse, coi vetri in frantumi. Entrando si respira un’aria sinistra, inquietante. Non si può fare a meno di pensare a chi ha abitato questo luogo lasciando la sua impronta nelle piccole cose: che le loro anime stiano ancora vagando dentro queste mura umide?


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Siamo entrati un po’ avventurosamente da una finestra del piano terra, e abbiamo percorso i corridoi polverosi della colonia: tra calcinacci, vecchi frigoriferi ed attrezzi da cucina mi venivano in mente i luoghi dei reportage fotografici di Abandoned America, ma con un entroterrra ligure così chi ha bisogno di prendere un volo per Detroit?

DSC_4399Non posso fare a meno di pensare a quanto diversa fosse la mentalità di soli 100 anni fa, che rendeva possibili opere di questo genere: maxi edifici lontani da tutto, che a quei tempi con le strade ancora sterrate dovevano sembrare ancora più remoti di quanto non lo siano oggi, contro ogni minima considerazione economica, ma che probabilmente, avevano alla base l’idea di dare ai bambini un ambiente sano, dove incontrare la natura e ritrovare, forse, un po’ di serenità.DSC_4403

La colonia Devoto emana un fascino tetro e sarebbe una location perfetta per un film dalle tinte gotiche, di quelli ambientati in vecchi orfanotrofi, con i fantasmi dei bambini che cantano nenie inquietanti e compaiono all’improvviso negli specchi. Sembra quasi sentirli, calpestando le assi malferme o inerpicandosi sulle scale: ci si aspetta all’improvviso di vedere un volto diafano spuntare dal nulla con un orsacchiotto in mano, per poi correre via ridendo. Brividi scuotono la schiena. Forse queste mura non vogliono tradire il loro segreto. DSC_4386

E cosi siamo usciti, lasciando le povere cose bisbigliare le loro storie, come uniche testimoni di un tempo che non tornerà. DSC_4411curiosità: la colonia Devoto ha ispirato naturalmente ghost story e sedicenti cacciatori del brivido. Come questi ragazzi della Paranormal inquiries:

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