Utah. panorama“Cavalcarono e cavalcarono, e a est il sole accese pallide strisce di luce, poi una colata più marcata di un colore come di sangue che mandò verso l’alto raggi improvvisi allargandosi sulla pianura, e là dove la terra defluiva nel cielo, ai margini del creato, il sole spuntò dal nulla come la testa di un grande fallo rosso fino a uscire completamente dal bordo invisibile per accovacciarsi alle loro spalle, pulsante e ostile”
 Cormac McCarthy- Meridiano di sangue
 

13 settembre
Questa giornata la dedicheremo al Capitol Reef National Park. Il Capitol Reef, nel sud dello Utah, è considerato uno dei parchi meno visitati degli USA: per questo motivo è una vera oasi di pace lontana dai percorsi più battuti. Siamo dunque molto ansiosi di scoprirlo e di vedere che cosa possa riservare al turista curioso.
Sveglia puntata all’alba, ci lanciamo a far colazione in un motel completamente deserto. Con noi c’è solo un losco figuro che io, vittima di dozzine di serie televisive americane e di film thriller, identifico come perfetto serial killer in viaggio. Cerchiamo quindi di non disturbarlo e di levarci al più presto dai piedi (probabilmente si trattava solo di un lavoratore stanco, ma la fantasia gioca brutti scherzi a quell’ora!). Prima di lasciare l’ospitale struttura passiamo per un saluto ai piccoli e graziosi animaletti che abbiamo scoperto ieri sera nel retro del motel: meravigliosi, coloratissimi colibrì! Confesso di non averne mai visti prima ed è stata davvero una bella sorpresa poterli osservare qui nel loro ambiente naturale: si librano nell’aria con voli rapidi e a scatti simili a libellule, poi si lanciano con precisione verso il loro obiettivo, gli abbeveratoi, senza badare assolutamente a noi. Sono fantastici.

Colibrì, Utah

Colibrì, Utah

Usciamo quindi dal motel e lo spettacolo del paesaggio è a dir poco meraviglioso: la pioggia è finalmente finita e fra le nuvole diradate si affacciano scampoli di cielo azzurro. Sotto, un rosso rugginoso avvolge la terra screziata di verde su cui crescono nervosi alberi ritorti dal vento. Ecco il selvaggio west in tutta la sua affascinante, provocante loneliness. Questa è la terra che ha catturato i cuori e le menti di scrittori e registi. Questa è l’America che cerchi.
Partiamo, dunque, finalmente, in  direzione Capitol Reef: purtroppo la pioggia dei giorni scorsi limita moltissimo la scelta dei trail percorribili nella riserva, per cui ci resta solo la possibilità di visitare il Cohab Canyon Trail. Qui le rocce sono molto diverse da tutto ciò che abbiamo visto finora. Il canyon si insinua serpeggiando nella valle con cupole dolci e rotonde, bucherellate come una forma di formaggio.

Capitol Reef N. P., Utah

Capitol Reef N. P., Utah

Capitol Reef National Park, Utah

Capitol Reef National Park, Utah

Sembra quasi che qualcuno si sia divertito a plasmare la pietra come fosse un pezzo tenero di plastilina. In realtà si tratta di sandstone. Milioni e milioni di granelli di sabbia e roccia sedimentati per anni e modellati dagli agenti atmosferici: un altro esempio della potenza creativa della natura.

Capitol Reef National Park, Utah

Capitol Reef National Park, Utah

Terminata la breve passeggiata sbuchiamo in una landa dove spuntano curiosi funghi di pietra. Poco oltre c’è un ponte sul Freemont river. Basta guardarlo per capire perché la maggior parte dei sentieri siano chiusi: il torrente è una colata uniforme di fango. Resto bloccata a osservarlo per un po’, perché quel fluido così denso che sembra essere stato appena spremuto da un tubetto di colore a tempera mi fa davvero impressione.

Capitol Reef National Park, Fruita

Capitol Reef National Park, Fruita

Un altro gioiello del Capitol Reef e senza ombra di dubbio Fruita. Quest’area fu infatti frequentata dall’uomo per secoli fin dalle epoche più remote. Furono prima i nativi Paiute ad innamorarsene e a chiamarla evocativamente “la terra dell’arcobaleno che dorme”. A loro si devono le incisioni rupestri che ancora oggi affascinano i visitatori con i loro segni enigmatici.

Capitol Reef National Park, petroglifi

Capitol Reef National Park, petroglifi

Poi, fu la volta dei pionieri che riconobbero il potenziale della zona e la trasformarono in un’oasi verde nel deserto. Il segreto è la ricchezza di acque raccolte in pozze naturali e incanalate nel fiume.  Ed è la vicinanza di approvvigionamenti idrici che ha permesso lo svilupparsi dell’agricoltura, dell’allevamento e il proliferare di una varia fauna selvaggia.  La storia racconta che nell’Ottocento si insediò in questa piana una colonia di Mormoni che riuscirono a coltivare alberi da frutta e orti dando vita a quello che a un viaggiatore stanco doveva apparire proprio come un miraggio: il miraggio di Fruita. Oggi di quel miracolo restano da visitare una piccola scuola  e la Gifford Homestead: la casa dei coloni di allora. All’interno sembra di balzare dentro una rivista di arredamento in stile shabby: la dispensa colma di marmellate e conserve, i catini per l’acqua, le camere con i poveri letti in ferro, le stoviglie ammaccate… un vero salto indietro nel tempo.

Capitol Reef, Fruita: home

Capitol Reef, Fruita: Gifford  homestead, particolari e scuola

Tuttavia, rifletto,  un salto in un tempo non troppo lontano,  perché mi basta ripensare alla casetta della mia povera nonna per ritrovare tanti elementi familiari. Volendo è anche possibile acquistare i prodotti che ancora vengono confezionati qui.  E se passerete mai da Fruita ricordatevi che è anche consentito raccogliere i frutti nell’orto: albicocche, mele e pere a seconda della stagione.

Una mezza giornata è sicuramente poco per giudicare un Parco, ma diciamo che se questo è l’aperitivo non promette niente male e non fa che confermare la bellezza di questa terra rossa di cui mi sono innamorata ogni giorno di più.

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