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11 settembre (sera): poco prima del crepuscolo arriviamo al nostro alloggio, il Bryce Canyon Inn di Tropic (Utah). La struttura è semplice: piccole casette di legno affiancate le une alle altre. All’interno sono perfettamente equipaggiate di tutto il necessario e la pulizia è ottima. Siamo davvero soddisfatti. Non ci fermiamo molto, perché abbiamo fretta di giungere alla nostra prossima tappa prima che il sole cali del tutto: il Bryce Canyon N.P.. Rimontiamo dunque immediatamente in macchina, anche perché sta ricominciando a piovere. La cosa incredibile è che fa pure freddo! Così ci copriamo ben bene con i nostri amati “orsi” (leggi: pile da montagna invernale che ricordano molto il costume carnevalesco da orso tipico del carnevale di Viareggio) e ci dirigiamo in fretta al primo punto panoramico sulla cavea del Parco. Nonostante il nome, infatti, il Bryce non è un canyon, ma uno stupendo anfiteatro di roccia generato dall’erosione dell’altopiano Paunsaugunt Plateau da parte di acqua, sole, vento e neve. Contrariamente a quanto si possa pensare ci troviamo molto in alto, a  2400 mslm, ed è quindi usuale il fatto che in inverno il parco riposi sotto una spessa coltre di neve. E vi lascio solo immaginare lo spettacolo.

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Bryce Canyon National Park

Arriviamo dunque al primo punto di osservazione, non a caso, il Sunset Point, e ci affacciamo timidamente sullo spettacolo sottostante. Pensate a un’opera di Dalì, oppure a uno di quegli bizzarri scenari fantascientifici degli anni Cinquanta. Pensate a Marte o a qualche pianeta lontano in cui ancora l’uomo non ha messo piede, ma in cui è certo vivano strane creature aliene, e ancora non avrete raggiunto la stravaganza del Bryce Canyon. E’ un dipinto arancione, sfumato di rosa, dal quale affiorano nervosi pinnacoli, cattedrali di pietra, archi, ponti. Qua e là spuntano dalla sabbia rosea alberi solitari che fanno pensare a un posto popolato da fantasmi: sarà per la nebbia che avvolge tutto in una nuvola di vapore, dunque, che io torno con la mente all’infanzia e a un cartoon che ricorderanno quelli della mia generazione: Bem il mostro umano. Ecco, lo vedrei perfettamente ambientato qui.

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Mi riprendo dallo shock emotivo di questo scenario incredibile grazie al freddo che comincia a farsi pungente e perché ormai la nebbia, dopo averci offerto questa visione fugace, ha nascosto tutto. Che me lo sia sognata? Esiste davvero questo luogo o è solo frutto di allucinazione?  Data la quantità di emozioni che questo Parco è in grado di scatenare nell’animo umano credo veramente che la visita al Bryce Canyon, anche solo per un secondo, valga tutto il viaggio dall’Italia. In più, credo di poter affermare che il Bryce Canyon sia il parco che regala le visuali migliori con il minor sforzo. Chiunque può godere della sua bellezza anche solo affacciandosi sul Rim, come abbiamo fatto noi.

Dopo la scorpacciata escursionistica a Zion e quest’aperitivo del Bryce la giornata  si conclude con una gustosa cena (ma non fra le migliori di quelle consumate in America) da Clarks. La particolarità è che qui non si nasconde per nulla che ci troviamo nella terra dei Mormoni ed infatti compare in bella vista il loro libro per la consultazione. Come a dire: cibo per il corpo, ma anche per lo spirito.

12 settembre: la mattina comincia prestissimo per noi, perché cerchiamo di batter sul tempo la pioggia che sembra inevitabilmente vicina. Facciamo dunque colazione nel locale convenzionato con la nostra struttura a base di prodotti semplici ma che garantiscono comunque di carburare bene per affrontare la giornata. La cosa curiosa è che conosciamo due signore islandesi che hanno casa… a Moneglia! Davvero a due passi da dove risediamo noi (SP). Un po’ di orgoglio ci anima perché le simpatiche vicine di tavolo si sperticano in lodi del nostro cibo, del nostro mare, della nostra Italia. Non è la prima volta ma, certo, fa sempre piacere!

Il nostro programma di oggi prevede un trail piuttosto classico: il Peek-A-Boo. Arrivati al Visitor Center, dobbiamo rivedere i nostri piani: questo sentiero è chiuso e anche la famosa zona di Wall Street, uno stretto canyon con pareti di oltre 30 metri, è chiusa per frana. Non ci resta che cambiare programma e “ripiegare” sul concatenamento Navajo loop trail e Queen’s Garden. Il primo, è un percorso di circa 2 km che passa vicino al Thor’s Hammer, come immaginerete, una delle formazioni più famose del parco, e che offre una vista superba su Silent city: l’area con la più suggestiva concentrazione di hoodoos (pinnacoli) di tutto il Bryce. A chi fosse interessato, ricordo che gli hoodoos, o camini delle fate, sono le concrezioni di pietra che hanno reso famoso il Parco. A dire la verità non di pietra si tratta, ma di terra e basterebbe pochissima pioggia per disgregare i pinnacoli se non fosse che la terra si alterna a uno strato calcareo che impedisce l’erosione completa, lasciando intatte le torrette. Ecco perché molte guglie terminano con un cappello di roccia, come appunto quello del Thor’s Hammer, che protegge la colonna sottostante.  Tornando al nostro itinerario, il Queen’s Garden è il sentiero più facile del parco, adatto anche ai bambini, lungo meno di 3 km.  Tuttavia, un elemento che non è da sottovalutare in questo parco è sicuramente l’altitudine: giusto per avere un’idea della conformazione geologica del territorio, va tenuto presente che il fondo del Bryce Canyon coincide con il tetto dello Zion N.P., quindi anche se si è allenati, potrà capitare di sentirsi affaticati prima del solito.

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Raggiunto l’attacco del Navajo Loop, per il quale ci sono evidentissime indicazioni, ci mettiamo in marcia. Il tempo è ancora nebbioso, ma questa foschia che lascia apparire e poi svanire le guglie aranciate rende l’atmosfera particolarmente onirica e malinconica. Il ché non mi dispiace affatto. Purtroppo, affrontati circa i due terzi del percorso, la temuta pioggia ci raggiunge. Lo sapevamo, quindi inutile lamentarsi! Ci mettiamo la provvidenziale giacca a vento e continuiamo a camminare. Purtroppo  però la pioggia aumenta e presto ci ritroviamo zuppi come pulcini! Non ci resta che correre declamando il rosario ad alta voce, ma siamo ben abituati a questa situazione e quindi non possiamo fare a meno di riderne: in fondo, un “pizzico di avventura” ci vuole sempre, ci rincuoriamo vicendevolmente.  La cosa che più mi colpisce è la velocità con cui l’acqua forma rigagnoli che si ingrossano fino a impedire il passaggio. So di essere in una zona relativamente  sicura, ma questo avanzare potente dell’acqua mi impressiona comunque.  Continuando a correre sotto la pioggia,  raggiungiamo una panchina riparata da una roccia a strabiombo; appendiamo le giacche ad asciugare e ci acquattiamo ad aspettare…  presto il nostro rifugio si riempie come una fermata dell’autobus.  Sono tutti speranzosi in una tregua che ci permetta di riprendere la marcia o quanto meno di tornare indietro.

Eccomi al riparo! bryce canyon N. P.

Eccomi al riparo! Bryce canyon N. P.

Ci sono, in effetti, dei brevissimi break durante i quali qualche gruppo se la sente e riparte, ma noi decidiamo di aspettare ancora. Ed infatti non solo presto vediamo i gruppetti tornare al rifugio, ma questi ci avvertono anche che è impossibile continuare: si può solo tornare indietro. Quando i nostri panni stesi si sono ben asciugati – lode al tessuto tecnico! – torniamo quindi un po’ bastonati all’attacco del trail per ripartire in automobile.
Intanto il tempo è leggermente “migliorato”, quindi perché non fermarsi per il breve trail del Mossy Cave? Ossia, il Bryce fuori dal Bryce.  Il trail rientra nei confini del Parco, tuttavia in una zona in cui non è necessario pagare il biglietto. Per l’esattezza,  si trova nelle vicinanze dell’Highway 12, nella parte nord del Parco ed è una brevissima passeggiata che, risalendo il corso di un torrente per circa 1 km, porta al cospetto di una cascatella e di una stravagante roccia turrita. Mentre camminiamo lungo le sponde del ruscello, ci perdiamo ad osservare l’acqua il cui livello sale costantemente come in una vasca da bagno.  L’acqua è densa e fangosa, quindi anche la cascata non è che sia tutto questo spettacolo oggi.  A malincuore, decidiamo di abbandonare il Bryce, anche perché nel frattempo è ricominciato a piovere.

Bryce Canyon Np, Mossy cave, la cascatella

Bryce Canyon Np, Mossy cave, la cascatella

Risaliamo in auto e ci incamminiamo lungo la scenica highway 12 diretti a Torrey, la nostra prossima meta. Lo spettacolo dello Utah, nonostante il tempo, nonostante un po’ di tristezza per l’abbraccio mancato al Bryce, è da togliere il fiato. Un continuo susseguirsi di rocce rosse in un paesaggio ampio e maestoso.  Per non perdere neanche un secondo del nostro viaggio, decidiamo di percorrere un breve tratto del Burr Trail.  Se siete da queste parti, segnatevi questa deviazione perché, anche percorrendone solo una piccola parte, si possono osservare splendide conformazione ocra di arenaria su cui noi abbiamo anche visto volteggiare un paio di Turkey vultures.

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Burr Trail

Burr Trail

E’ una zona davvero poco battuta dai turisti e si può anche decidere di assaltare i collinotti di pietra. Nelle vicinanze, alle porte del paese di Boulder, si trova anche l’Anasazi State Museum che però noi abbiamo trovato chiuso.
Arrivati nel piccolo centro di Torrey ci accorgiamo che qui la pioggia ha picchiato ancor più duro rispetto al Bryce Canyon. Mezzo villaggio è completamente allagato! Per fortuna il nostro motel, il Rim Rock Inn, trovandosi fuori dal paese,  è stato risparmiato. La struttura si trova in una zona panoramicissima e finalmente, proprio  quando ormai ci stiamo sistemando nella nostra camera, squarci di sereno rompono la monotonia grigia del cielo regalandoci un ancor timido, ma indimenticabile, tramonto.  Per la cena vi segnalo il  Café Diablo, non solo per le bistecche, ma anche per le torte superbe che ci  hanno ripagato ampiamente delle fatiche della romanzesca giornata.

 

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