11 settembre: il nostro risveglio è segnato dalla consapevolezza di un meteo per niente favorevole ai nostri piani, tuttavia ci rincuoriamo subito grazie alla bellissima colazione condivisa con gli altri ospiti dell’Harvest house, tutti seduti attorno a un grande tavolo. Il pasto da Tom è abbondante e vario con yogurt, frittate, salsicce, latte, tè, caffè e succhi di frutta. Forse per noi anche troppo. Scambiamo quattro chiacchere con gli altri, salutiamo il nostro ospite e ci mettiamo subito in macchina diretti allo shuttle per il parco di Zion. Come prima tappa voglio vedere le Emerald Pools: lo so che tutti non ne parlano granché bene, ma sono curiosa lo stesso di capire di cosa si tratta. Prima però ci fermiamo a fare il brevissimo trail della Weeping Rock (800 m). Si tratta di un comodo sentiero che sale velocemente fino a condurre dietro a una cascata in una nicchia scavata nella roccia costantemente gocciolante (ecco perché si chiama Weeping Rock). Il percorso è carino e si snoda nella varietà floristica del parco che ospita abeti, aceri, fichi d’India, cactus, pioppi, salici fra le piante che mi è dato riconoscere. Si tratta di una strana armonia accentuata dall’asperità del luogo che mi appare così sempre più singolare. Da sotto la roccia poi si ha un bel panorama sulla vallata di Zion incorniciata dalle montagne e quindi val la pena arrivare fin qui.
Il percorso per le Emerald Pools (a/r circa 5 km) è invece un po’ più lungo e le pozze d’acqua effettivamente non mi colpiscono, tanto più che in questo caso più che emerald... sono brown! Capisco però che è il colore dei laghetti in questo momento sia determinato dalla fanghiglia portata dalle piogge e che è proprio da qui che si formano cascatelle come quella sulla Weeping Rock. Le pozze si trovano infatti su un balcone naturale da cui inevitabilmente l’acqua scivola giù con una balzo spettacolare. Probabilmente, in un altro periodo dell’anno più asciutto le Emerald sono graziose a vedersi. A onor del vero, le Emerald sono 3: le Lower, le Middle e le Upper. Noi le abbiamo visitate tutte, ma nessuna ci ha convinto.
Nel frattempo ha cominciato pure a piovere e questo ci ha resi un po’ indecisi sul da farsi. Intanto saliamo sulla navetta e ci facciamo un giro fermandoci a osservare Court of Patriarchs e Temple of Sinawava, due delle attrazioni di Zion che possono vedere anche coloro che sono abituati a visitare i parchi solo con lo shuttle. Il primo, è un curioso raggruppamento di rocce ribattezzato nel 1916 da un pastore metodista che ci vide rispettivamente: Abramo, Isacco e Giacobbe. Non stupisce affatto che queste valli e questi picchi così aspri possano aver suggerito visioni mistiche e il desiderio di afferrare finalmente il segreto riposto nella natura. L’uomo viene soltanto accolto per una breve udienza, ma non gli è concesso di penetrare più a fondo in quell’universo perfetto e indifferente.
Mentre mi perdo in queste riflessioni, la pioggia si placa: decidiamo quindi di affrontare almeno un pezzo del famosissimo Angels Landing. Per chi non lo sapesse, questo itinerario è una delle escursioni più famose del parco non soltanto per la sua bellezza ma anche per l’impegno che richiede. Si tratta di un percorso di 7 km fra andata e ritorno che segue fedelmente l’orlo di un crinale fino ad arrivare, aiutati da alcune catene, su una stretta vetta che offre una vista a 360° sul parco. Fare l’Angels Landing a Zion significa vivere un po’ di avventura, raccogliere la sfida che la natura del luogo ci pone e assaggiare un briciolo della sua forza. Tuttavia, a cose fatte, mi sento anche di dire che fin poco sotto la cima il percorso è abbordabilissimo e ben protetto. Il sentiero si avvolge infatti in strette “voltoline” sul fianco della montagna, poi si infila in una specie di canyon di arenaria molto bello da percorrere e che offre riparo nelle giornate di sole.
Qui se si è fortunati si può vedere volteggiare il condor che, con la sua regale presenza, corona la suggestione del paesaggio. Sorpassato questo tratto capirete di essere arrivati al punto in cui bisogna decidere se proseguire o accontentarsi di essere arrivati fin lì: lo Scout Lookout. Una grande sella dove troneggia un cartello che recita: dal 2004 sono morte 6 persone affrontando questo tratto, fate attenzione!
A dir la verità, al suo cospetto io ho pensato subito al numero di vittime che segnano ogni anno le mie vicine Alpi Apuane e che purtroppo risponde a un multiplo di sei…pertanto, in accordo con mio marito, ho deciso di proseguire. In questo punto il panorama è comunque magnifico e la cresta dell’Angels Landing che si rivela di fronte a noi sembra esser stata tagliata con una lama di coltello, tanto è affilata e verticale. Se soffrite di vertigini, se pensate che la vista del precipizio ai vostri piedi possa impressionarvi troppo, fermatevi qui. Il ritorno avviene per la stessa strada dell’andata e sicuramente non è piacevole vivere attimi di terrore aggrappati a un corrimano.
Cominciamo il tratto catenato, che inizialmente non sembra niente di più difficoltoso di uno dei tanti sentieri attrezzati in dolomiti. Il problema però è che qui si incontrano persone a piedi nudi che hanno ben pensato di affrontare la cima in ciabattine e si sono viste quindi costrette a togliersele per non scivolare. Questa è senza mezzi termini stupidità pura (a meno che non si tratti di emuli di Messner!): qualche punto esposto non manca ed è un attimo finire nel vuoto! Inoltre nelle ferrate vere e proprie si è sempre assicurati con i moschettoni al cavo e questo, a livello psicologico, è di grande aiuto; qui invece si fa affidamento solo sulle proprie mani. Uno dei punti sicuramente più suggestivi, ma anche più spaventosi è una sella larga 1,5 m con un salto di 300 m da entrambe le parti. Non mi vergogno ad ammettere che anche io ho avuto qualche titubanza. Alle volte si incontrano individui provenienti dalla direzione opposta che non sanno proprio cosa fare: chi si siede e spera di scendere pian piano in quella posizione, chi piagnucola aggrappato alla catena, chi cerca conforto nei pochi alberi sulla cresta… Non è davvero piacevole lasciare il corrimano per girar loro intorno avvicinandosi all’orlo del precipizio. Tornando a noi, io superata la prima cresta, mi fermo.
Mio marito vuole proseguire, così lui decide di andare avanti ed io di aspettarlo sotto un alberello in una posizione non proprio da manuale. Presto però riprende a piovigginare: io lo vedo che sale ripidamente, ma questo tempo non mi piace per nulla: osservo il profilo puntuto del crinale con un po’ di apprensione cercando di seguire il puntino blu che lo risale insieme a molti altri.
Per fortuna anche il puntino blu si decide a far dietro-front perché una delle regole da non dimenticare in montagna è quella di non sostare nei punti alti con l’avvicinarsi di una tempesta, né tanto meno vicino a oggetti metallici! Presto mi raggiunge e al suo arrivo mi comunica che il pezzo più impegnativo è quello che abbiamo concluso assieme (l’avrà detto per compiacermi?), ma ormai i giochi sono fatti: per oggi è andata così.
Riunita la famiglia, torniamo sui nostri passi e ci fermiamo con più tranquillità a scattare qualche foto al panorama: la nebbia avvolge le rocce di un velo bianco impalpabile come farina di riso, e l’impressione di essere finiti dentro a un fumoso dipinto ottocentesco è forte. Anche se un po’ con l’amaro in bocca per la vetta mancata, siamo soddisfatti: non siamo arrivati là dove atterrano gli angeli, ma comunque ci siamo andati vicini e, viste le previsioni di inizio giornata, non si può dire che sia andata male! E non è ancora finita!
Percorso a ritroso tutto il sentiero per l’Angels Landing, recuperiamo dunque la macchina e, allontanato il malumore, sostiamo davanti al the Watchman: l’ultima formazione baciata dal sole prima del tramonto. Imbocchiamo quindi una stupenda scenic drive che ci porterà fuori dallo Zion, verso il Bryce Canyon (nostra prossima tappa): il pezzo della Highway 9 che dall’entrata del parco supera il Tunnel e corre verso il Monte Carmel attraversando lo Zion Plateau.
E’ una strada lungo la quale si rincorrono rocce rosse, bianche, cipria: perfetta per chi abbia poco tempo ma voglia comunque farsi un’idea della natura di queste valli. Alcune rocce sembrano delle curiose cupole altre sono più aguzze; spesso si intravedono torrentelli e piccoli canyon: davvero un paesaggio indimenticabile. Una di queste formazioni più conosciute è la Checkerboard Mesa: una roccia la cui superficie ricorda le scaglie di un vecchio rettile. Ci fermiamo naturalmente per scattare qualche foto e ci allontaniamo sempre di più dallo Zion. Mi porto dentro la sensazione di un incontro fugace: come una cena improvvisata con un ospite schivo e timido ma che lascia trapelare un grande animo nascosto dalla sua ruvidezza. Una di quelle persone all’apparenza non facile, ma di cui si vorrebbe sapere di più. Ci sarà un’altra occasione? Io me lo auguro. Di certo questo parco non è di quelli che conquista subito, soprattutto non il visitatore frettoloso che spera in mezza giornata di portare a casa foto da cartolina, ma è sicuramente fra i più stimolanti perché riserva i suoi gioielli a coloro che vogliano andare oltre la copertina, mettendosi in gioco almeno un po’.
Come arrivare
Lo Zion National Park si trova nello Utah e può essere facilmente raggiunto con un auto a noleggio dall’aeroporto internazionale di Las Vegas.
che bellezza 🙂 tra l’altro un sentiero bello impegnativo!!
direi abbastanza…ma solo per le fifone come me! 😀
ciao, mi segno le tue dritte perchè anch’io sono in partenza a brevissimo per i parchi dell’Ovest e faremo tappa anche allo Zion…complimenti anche per le immagini, trovo che la mutevolezza del tempo faccia parte della natura e renda la fotografia ancora più interessante. Ora guardo se hai scritto altri post a tema 🙂
Monica
Ciao Monica! Sì, a breve racconterò anche del Bryce! Se vai a Zion e se ti piace camminare ti consiglio di provare i Narrows, che purtroppo abbiamo trovato chiusi per le forti piogge! Ma ci tornerei solo per quello! Se hai bisogno d’altro, scrivimi pure 🙂
Parco di Zion, questo è uno dei posti che voglio ASSOLUTAMENTE visitare!
Fantastico!
Peccato per il clima… ma va bene lo stesso, no? 🙂
Purtroppo contro il meteo, nulla si può fare; l’importante è essere pronti ad ogni evenienza e non farsi scoraggiare. D’altronde anche le incognite fanno parte del fascino di un viaggio… 😉