Lontano dalla spiaggia, dopo aver attraversato flessuosi campi di grano, si giunge a Santarcangelo di Romagna: una cittadina così ben tenuta che si stenta a credere che sia vera. Mi piace pensare a Santarcangelo come al borgo delle farfalle e non solo quelle che sono attirate qui dai mille fiori che ornano ques’assolato balcone sull’Adriatico, ma anche quelle forgiate nel ferro dall’estro poliedrico di Tonino Guerra: il grande sceneggiatore che ebbe i natali proprio a Santarcangelo.
Tonino Guerra, collaboratore di Fellini, Antonioni, Tarkoskij (sue, per esempio, le sceneggiature di Blow up, Zabrisky Point, Amarcord), pittore e scrittore (ricordo che da bambina lessi il divertentissimo Storie dell’anno mille), era un omaccione con faccia paffuta, lunghi baffi e “grandi mani di pane” che non poteva non ispirare simpatia e ottimismo. Già, ottimismo: tanto di quell’ottimismo che ne divenne poi il simbolo, con quella pubblicità della Unieuro che ci ricordiamo ancora oggi. E pensare che lui, nella vita, ne aveva passate così tante che è incredibile che potesse avere ancora voglia di ridere. La sua esperienza più tragica fu l’internamento in un lager nazista, tant’é che diceva di amare le farfalle perché non era più costretto a mangiarle per fame come durante la prigionia. Eppure, nonostante tutto, Tonino non perse mai la sua capacità di cogliere il lato ironico della vita e come ogni grande artista seppe trasmetterlo attraverso le più disparate forme espressive.
A ben vedere, il carattere forte e volitivo che trapela dalle note biografiche dello sceneggiatore non sembra una rarità qui e, a dire il vero, trasuda da ogni Santarcangiolese. Almeno: così mi è parso nel corso del nostro blogtour in Romagna, osservando e ascoltando la nostra guida, un omaccione con le guance di mollica e i baffi come Tonino Guerra e, proprio come lui, con grande senso dell’umorismo, fierezza e voglia di tessere storie. Per esempio, fra i tanti aneddoti con cui ci ha intrattenuto, c’è quello su Papa Ganganelli, Santarcangiolese di nascita, assassinato (probabilmente) dai Gesuiti per aver sciolto la compagnia. Oppure, quello della “Festa dei Becchi”, kermesse di origini contadine che si tiene in paese l’11 novembre, di cui ci ha parlato, guarda caso, nella centrale piazza dedicata al pontefice. Pensate che in quest’occasione si appende un paio di corna di caprone sotto l’arco di trionfo che, secondo tradizione, oscillerebbe al passaggio di un…”cornuto”.Molte altre sono le dimostrazioni dello spirito forte e arguto di questi Romagnoli autentici. E sicuramente una lo è l’uso sapiente che nei secoli è stato fatto delle grotte tufacee: un luogo che vi consiglio di visitare perché ci ha piacevolmente sorpreso durante il nostro tour. Queste caverne, che di tufo non sono, ma si continua a chiamarle così per un errore notarile, formano un labirinto contorto che si estende nella pancia del monte Giove: il colle di Santarcangelo. Avvolte dal mistero – non si sa chi le abbia costruite e perchè – nel passato sono state usate come cantine e poi, in tempi a noi più vicini, come rifugio antiaereo. Il fatto interessante è che le grotte sono inglobate nelle abitazioni e i Santarcangiolesi più fortunati ne possiedono un pezzo. Nel bel mezzo dei bombardamenti alleati, quindi, gli scaltri abitanti seppero cogliere in esse l’opportunità di utilizzarle come passaggi segreti per mettersi in salvo.
Ma non si potrebbe parlare di Santarcangelo e dei suoi cittadini senza nominare un altro loro motivo di orgoglio: il vino. Dal già nominato monte Giove, infatti, prenderebbe nome uno dei vitigni più famosi e diffusi al mondo: il Sangiovese. Questa curiosa denominazione non sarebbe altro che la contrazione dell’appellativo “Sangue di Giove” che sta a significare l’origine autoctona della pregiata uva. Vero o no che sia, è indubbia la passione per il nettare rosso dei Santarcangiolesi, in particolare, e dei Romagnoli più in generale: il vino colora le tavole nelle osterie e condisce le storie di questi luoghi da sempre. E non sarà un caso allora se anche nel cinema del riminese Fellini la tavola imbandita con bicchieri e calici è una costante.
Venendo qui a Santarcangelo potrete cogliere questi aspetti e toccare con mano i tratti unici della Romagna più genuina: la fierezza, la generosità, l’altruismo, l’amore per la buona tavola e le cose belle della vita, anche le più piccole: come le farfalle di Tonino Guerra.
Santarcangelo di Romagna in breve: Cosa vedere:
Piazza Ganganelli: punto di partenza di ogni visita a Santarcangelo è la piazza dedicata al famoso papa. Qui, si fa notare la bella fontana restaurata a seguito di un’idea progettuale di Tonino Guerra, caratterizzata da una bella pigna in pietra d’istria come simbolo di accoglienza. Poco distante si trova l’arco di trionfo eretto a memoria di papa Ganganelli (Clemente XIV) nel 1777.
Stamperia Marchi: da non perdere, non soltanto per la presenza di un mangano ancora funzionante, ma anche per le pregevoli stampe a ruggine su tessuti come canapa e cotone, realizzati con una tecnica risalente al XVII secolo, patrimonio culturale di tutta la comunità.
Il Museo Tonino Guerra: museo dedicato al poeta – sceneggiatore con affiches, quadri, installazioni, ceramiche e una sala multimediale dedicata al suo cinema.
Il Museo del Bottone: una curiosità tutta da scoprire per leggere la storia dell’Umanità attraverso i bottoni raccolti con passione dal fondatore Giorgio Gallavotti.Piazza delle Monache: si tratta di una bella piazzetta, nella parte alta del paese, dove sorgeva il convento voluto, secondo la leggenda popolare, da Concordia Malatesta: sfortunata figlia di Gianciotto e Francesca da Rimini. Secondo la vulgata, dopo l’uccisione della madre da parte del padre Concordia si sarebbe rifugiata nella Rocca Malatestiana dal nonno e lì gli avrebbe chiesto il permesso di fondare un severissimo ordine di clausura, “le sepolte vive“, dove poter vivere il proprio lutto. Una targa nella piazza ricorda ancora oggi la madre Francesca cosicché possa vegliar sulla figlia.
La Rocca Malatestiana: rappresenta la più concreta testimonianza a Santarcangelo delle fortificazioni rinascimentali. Il maschio venne eretto in realtà già nel 1386 da Carlo Malatesta, ma fu soltanto nel 1447 che Sigismondo Pandolfo Malatesta fece abbassare la struttura allargandone le mura e portandola alla conformazione attuale.
Il Campanone: uno dei monumenti più rappresentativi della cittadina: alto e slanciato in stile neogotico, è a lui che si deve il profilo da cartolina di Santarcangelo.
Come arrivare: seguire l’Autostrada A 14 “Bologna – Bari” e uscire al casello “Rimini Nord”, da qui continuare per “Santarcangelo di Romagna per circa 4 km.
Per maggiori info vi consiglio il sito della IAT di Santarcangelo.
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