le immagini votive sono organiche, volgari; tanto sgradevoli da contemplare quanto sovrabbondanti e diffuse. Esse attraversano il tempo. Sono comuni alle civiltà più disparate. Ignorano la separazione tra paganesimo e cristianesimo. In realtà la loro stessa diffusione ne costituisce mistero e la singolarità epistemologica: oggetti consuetudinari per l’etnologo, le immagini votive sembrano del tutto inesistenti per lo storico dell’arte“.

Georges Didi-Huberman

 

Il mio primo interesse per gli ex-voto nasce in un contesto molto distante da quello religioso e cioé negli ambiti artistici e musicali gothic e pop. La fascinazione per questi oggetti in effetti attraversa tutte le epoche fino ad arrivare indenne alla contemporaneità. Essi rappresentano non soltanto un segno profondo di devozione, ma anche la persistenza di pratiche ancestrali che nei secoli hanno acquistato una fisionomia sempre più precisa, modificandosi nella forma ma non nella sostanza.

L’ex voto – “ex voto suscepto” la locuzione completa – è in pratica una forma di ringraziamento che il singolo tribuisce alla divinità per una grazia ricevuta. L’ex voto è quindi uno strumento di intercessione con il divino; ma la cosa più interessante di questi oggetti è il fatto che il ringraziamento avvenga mediante la raffigurazione, quanto più veritiera possibile, dell’evento miracoloso o addirittura attraverso la riproduzione plastica di parti corporee per le quali si chiedeva la guarigione. Si tratta quindi di migliaia di piedi, occhi, cuori, polmoni orecchie, gambe, penzolanti attorno alle immagini sacre. Ma anche di dipinti, oggetti dal valore sentimentale, come catenine e orologi, tele ricamate e, ai giorni nostri, fotografie. Sicuramente quelli “organici” sono quelli che più hanno riscosso l’interesse degli studiosi, dagli antropologi agli etnologi e persino ad illustri storici dell’arte, che hanno visto in questa pratica un punto di contatto fra passato e presente e, in definitiva, una chiave di penetrazione nel  complesso sistema di credenze, riti e superstizioni resistente anche nell’uomo moderno.

Con l’avvento del Cristianesimo questa usanza popolare si è spesso incanalata in una precisa codificazione. Oggi nei Santuari si possono distinguere varie tipologie di ex-voto. Oltre ai già citati ex-voto corporei, molto particolari sono quelli a soggetti marinaresco, oppure quelli rappresentanti eventi che riguardano intere comunità, di solito dipinti, come pestilenze, guerre, invasioni e calamità naturali. Di solito queste pitture seguono sempre uno stesso copione: si vede la situazione in atto, l’intervento della divinità e alle volte la risoluzione, come in un fumetto. Esistono anche Santuari “specializzati” in accadimenti importanti e particolari, come la nascita. Più di frequente tuttavia le forme del voto superano l’immaginazione. Vi basti pensare che mi è capitato di vedere un coccodrillo imbalsamato, con il quale il devoto probabilmente ringraziava per esser stato salvato dal pericoloso animale, ma anche calcoli renali, pallottole, zanne di cinghiale e chi più ne ha più ne mette. La persona insomma dona un oggetto che la rappresenti, ne incarni le qualità  per raccontarne il vissuto nel suo acme. In questo modo, il committente, tramite una sorta di transfert psicologico, “vivifica” l’oggetto che si fa tanto più carismatico quanto più rispettoso dell’accaduto. Donandolo, non dona solo l’oggetto, ma sé stesso.

Un’interessante analisi del mondo degli ex-voto in ambito cristiano la si può avere visitando la mostra “Il cielo sceso in terra, memorie di straordinaria quotidianità” in corso fino al 29 ottobre al Museo Diocesano di Massa. Quest’esposizione, che ho avuto il piacere di conoscere durante un instameet organizzato dalla community Igers Massa-Carrara, ha il merito di raccontare non soltanto i singoli manufatti, ma tutto il contesto in cui essi acquistano significato nel territorio della Diocesi di Massa. Perché se è vero che gli ex-voto esprimono indubbiamente un carisma, è altrettanto vero che questo succede soltanto con una replicazione infinita del loro senso davanti  all’opera fatta oggetto di devozione.

L’allestimento di Massa, più che suggestivo, prende il via con alcuni esempi di ex-voto di metallo e meravigliose statuette in cera realizzate per il culto privato. Al centro di tutte le invocazioni e preghiere sta, quasi sempre, la figura di Maria, raffigurata anche da bambina. Qui si rimane ammaliati dalla perizia delle monache che si curavano della realizzazione di queste “bambole”: la struttura in legno, le mani e il volto plasmati nella cera, gli abiti confezionati in stoffe preziose come il taffetas; i capelli, veri, arricciati con ferri e schiariti con le tinte. Anche in questo caso appare evidente  la ricerca, fortissima, della verosimiglianza, poiché si voleva  che la figura venerata si facesse tangibile, presente. Molto interessante è anche l’approfondimento sulla “scopritura” delle sculture al centro della venerazione. Un tempo infatti le statue della Madonna e dei Santi rimanevano occultate alla vista tranne che in occasioni particolari che si facevano propizie per la richiesta della grazia. Questi momenti, circondati da un velo di mistero e di suspance,  non facevano che accrescere il desiderio dei fedeli di vedere la statua, come in una apparizione.

D’altra parte, è esemplificativa dell’importanza che assumevano questi simulacri anche la loro vestizione. Lo testimonia  l'”abito in broccato d’oro con fondo celeste“, presente in mostra, che fu donato dalla marchesa Clara Isabella Malaspina  (1683- 1779)  per la Madonna del Rosario della Confraternita di Collecchia col patto esplicito “che ogni anno dopo la pentecoste si esponga il SS Sacramento per l’anima sua come fu asserito“. Oppure,  ne è un altro esempio la luminosa scultura della Madonna della Neve (1853), proveniente dalla chiesa omonima nel paese di Monte dei Banchi, in Lunigiana. L’armatura portante della figura è stata realizzata in legno, le parti anatomiche visibili nel pregiato “stucco di lucca”, un tipo particolare di cartapesta rinforzato da gesso e tela per poi essere dipinto; l’abito è un taffetas di seta ricamato in oro.  La Madonna porta infine sul capo una grande corona realizzata in argento e donata dagli stessi fedeli alla Chiesa mediante le offerte. Queste mirabili opere, oltre a rappresentare interessanti esempi di arte poli-materica, sono la prova più evidente dell’amore che i parrocchiani provavano nei confronti dei soggetti sacri.

Assieme alle dimostrazioni della devozione più popolare la mostra ha poi il pregio di presentare alcuni pezzi di fattura più elevata, a riprova di quanto l’usanza degli ex-voto non conoscesse distinzione di censo. In particolare si rimane colpiti dall’ Immacolata Concezione in marmo bianco di Carrara proveniente dall’Oratorio di San Sebastiano – oggi non più esistente –   e commissionata dal Conte Giovanni Battista Diana Paleologo (1654-1744).  Il nobile , nel 1722,fu accusato di tradimento dal Duca di Alderano, che ne ordinò l’arresto. Egli si rifugiò quindi nel citato oratorio e poi si nascose per dieci mesi nell’attigua chiesta di San Pietro, sfuggendo alla prigionia. Come  ringraziamento alla Vergine, a cui si era rivolto in preghiera durante il periodo dell’accusa, fece dono di due 2 stanze all’Oratorio, in una delle quali, che divenne la sua cappella privata, fece costruire un altare coronato dall’opera che vediamo nell’esposizione. Anche se il suo autore rimane ad oggi sconosciuto è evidente la qualità del lavoro per il quale è presumibile l’intervento di un artista di riconosciuta bravura.

Al di là della valenza estetica, quello che ci insegna questa mostra tuttavia è la varietà e prolificità del mondo degli ex-voto: fra le poche testimonianze materiali in grado di tessere un collegamento fra arte e artigianato, popolare e aulico, micro-storia e macro-storia. Sia che si tratti della trama di un dipinto, di una figurina sbalzata nel metallo o forgiata nella cera, di un canto scritto su un cartiglio, di sigle su un muro, pietre, coralli o degli innumerevoli oggetti bizzarri affastellati su chiese e santuari tutti quanti esprimono il desiderio profondo di rendere immanente il trascendente; guardano al fondo del nostro animo, là dove ancora, nonostante tutto, ci si affida al mistero.

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