Qualcuno deve avermi preso per pazza. Durante l’AITB Meet Up (di cui vi ho parlato già qui), mentre tutti scattavano foto alla bella Cattedrale di Como da ogni angolazione, i miei occhi non potevano staccarsi dal grande monolite bianco dall’altra parte della ferrovia. All’improvviso mi sono tornate in mente le mie giornate china sui tavoli dell’Università e le parole decise del mio manuale di storia dell’arte: “Terragni è stato incontestabilmente il maggior architetto italiano del decennio precedente la guerra“, diceva.
In effetti, è impossibile non notare il disegno rigoroso dell’ex Casa del Fascio (Piazza del Popolo,4), l’edificio commissionatogli nel 1932 dal Regime e terminato nel 1936, considerato unanimamente la sua opera maggiore. Le linee ortogonali disegnano un perfetto parallelepipedo mosso solo dal gioco fra vuoti e pieni. Guardandolo, penso a una scatola, sezionata con lucida geometria nelle sue parti essenziali. Anche i colori luminosi sono un inno alla sobrietà e alla purezza e davanti a questo fabbricato non si può non ricordare il ribaltamento concettuale in campo costruttivo che avvenne in tutta Europa in quegli anni. Ed è per questo che la critica attuale vede in Terragni colui che più di ogni altro rinnovò il linguaggio architettonico italiano sovvertendo le regole del Razionalismo.
E allora com’è possibile che quella grande “casa di vetro”, all’epoca al centro del dibattito sul costruire e tutt’ora studiata e ammirata da schiere di studiosi e appassionati, oggi non rechi neanche un pannello informativo degno della sua storia? Ma il fascino della Casa del Fascio non finisce qui. Bisogna pensare che l’architetto non si limitò a progettare “solo” – si fa per dire – l’involucro della sua creazione ma si spinse a disegnare anche tutti i dettagli: persino sedie e maniglie, lampade, tavoli e poltrone come in un’autentica un’opera d’arte totale in cui design e architettura si integrano e si completano. Peccato che oggi tutto questo non si possa apprezzare perché il palazzo è sede della Guardia di Finanza ed è quindi interdetto al pubblico. Forse, Terragni ha pagato lo scotto della sua adesione al Regime, com’è successo ad altri artisti caduti nel dimenticatoio (ne è un esempio anche Angiolo Mazzoni, di cui vi ho parlato qui). O, forse, nel nostro Paese non c’è ancora molta attenzione alla modernità e semplicemente non siamo ancora pronti a comprendere il valore di certi capolavori che ci stanno davanti.
Per fortuna, però, qualcosa si sta muovendo e i Comaschi per primi stanno cercando di riaccendere la luce su queste perle dimenticate. Addirittura esiste un’associazione nata allo scopo di valorizzare le testimonianze di Razionalismo e Astrattismo a Como e il progetto, in nuce, di creare un polo artistico e culturale dedicato a questa corrente dislocato -guarda un po’ – proprio nella Casa del Fascio e negli edifici attigui. Ecco perché, per dare un piccolo contributo a questa doverosa riscoperta, ho deciso di stilare un breve itinerario sulle tracce del Razionalismo a Como sulla base della mia esperienza. Lo considero un inizio, vista la mia brevissima permanenza in città, ma pur sempre una base da cui partire.
Il fulcro di tutto il tour è naturalmente la produzione di Terragni e la Casa del Fascio stessa. Una volta lì però mi sono stupita della presenza di un altro edificio che gli fa da controcanto: proprio di fronte ad esso, e parte dello stesso progetto costruttivo che prevedeva la nascita di un quartiere dedicato al governo e alla politica, si trova l’ex Palazzo dell’Unione Fascista dei Lavoratori dell’Industria, costruito a partire dal 1938 dagli architetti Cesare Cattaneo e Pietro Lingeri. Il palazzo si distingue per i suoi volumi severi, ritmati dal pattern di finestre e pilastri, in dialettica con il palazzo di Terragni. L’insieme rappresenta dunque l’esempio emblematico della concezione non soltanto architettonica ma anche urbanistica del tempo.
Dopo questo primo bagno razionalista, si può ampliare la nostra conoscenza al riguardo lasciando il centro storico e avviandoci sul lungo lago (occasione per ammirare la facciata dell’hotel Metropole Suisse che vide l’intervento di Terragni nel 1926) fino ad arrivare al famoso Novocomun (via G. Sinigaglia, 1). Qui, troviamo ancora una volta Giuseppe Terragni, in un progetto della giovinezza (1928) che non nasconde il suo tributo al costruttivismo sovietico. In questo caso si tratta di un modulo abitativo su pianta quadrangolare, reso dinamica dall’innesto di un elemento semi-circolare. In proposito si legge un aneddoto emblematico in cui si dice che l’architetto, al momento di presentare il progetto per l’edificio, falsò le carte consegnando il disegno di una facciata neoclassica. Non si tratta di una curiosità, ma della spia di quanto l’autore, pur giovane, fosse conscio della portata “sovversiva” delle sue idee e – cosa che lo accomuna alle grandi menti del passato – del suo genio.
Arrivata a questo punto il tempo mi ha costretta a chiudere in fretta il giro (voi potrete però spingervi fino alla vicina Casa Frigerio), ma non prima di aver fatto visita al Monumento dei Caduti (viale Puecher, Giardini Pubblici) disegnato da un altro grandissimo artista, Antonio Sant’Elia, e reso concreto dai fratelli Terragni (1933). Anche in questo caso ci fu un’accesa polemica già durante la fase progettuale del monumento che vide l’intervento persino di Filippo Tommasi Marinetti ed Enrico Prampolini e che si chiuse solo con l’apporto definitivo di Giuseppe Terragni. L’architetto si occupò della cripta e del sacello dei caduti depurando l’opera della sua spinta futurista e trasformandola in un’icona razionalista.
Oggi, questa torre, con i suoi 3o metri di altezza e la sua mole – concedetemi il termine – “fascistissima” quasi atterrisce quando ci si trova davanti.Sapevo che Como mi avrebbe riservato delle sorprese: mi sono lasciata catturare dal magnetismo della Casa del Fascio per poi scoprire un’epoca aurea di progettazione e dibattito, sfide architettoniche e monumenti simbolo – nel bene e nel male – della storia d’Italia. Non a caso quindi il giro si conclude ai piedi del gigante in pietra dedicato ai Caduti: un’opera che, da sola, chiude un cerchio unendo idealmente l’iniziatore del rinnovamento futurista, Antonio Sant’Elia e il genio del Razionalismo, Giuseppe Terragni.
Non male per una tranquilla gita sul lago!
N.B. come vi ho detto, purtroppo, questi sono solo spunti di un itinerario che vi invito ad ampliare consultanto il sito Visit Como che organizza anche uscite guidate sul tema. Naturalmente, fatemi sapere!
Ha mancato di qualche centinaio di metri, la Casa Frigerio e più lontano l’Asilo! Poi a Cernobbio un gioiello impareggiabile! La Casa Cattaneo di Cattaneo…
Eh lo so! Mi riprometto di tornare e approfondire l’argomento perché purtroppo ho avuto pochissimo tempo…e per onestà mi sono limitata a parlare di quelli che sono riuscita a vedere di persona. Già così è stata un bellissimo viaggio 😉
Grazie mille per il commento!