Lo confesso:nel 2010, uscita da un periodo di lavoro parecchio stressante, ho ceduto al richiamo di sirena di uno dei tanti villaggi turistici che promettevano il paradiso del mar rosso ad un prezzo veramente competitivo: 1000 € per due persone A.I. in villaggio turistico. Una settimana senza pensieri a Marsa Alam, poco più a nord di Berenice, al confine con il Sudan. Devo dire che il mio viaggio si è tenuto in tempi non sospetti, in un periodo in cui la massima preoccupazione erano gli squali che avevano banchettato con alcuni turisti a Sharm El Sheik. Forse avremmo dovuto tenere in maggior conto quegli avvenimenti e cogliere in essi un presagio di quel che stava per accadere: l’Egitto si era stufato di essere un parco di divertimento per le rumorose colonie occidentali sulle sue coste e restituiva il colpo mangiandosi i villeggianti.
Il villaggio mi è parso talmente protetto da sembrare una gabbia per animali. La sensazione di non poter uscire da queste oasi di divertimento balneare mi ha colto non appena messo il naso all’esterno dei loro cancelli dorati. Perché io volevo uscire dal villaggio. Volevo conoscere l’Egitto e non solo il suo mare. Avevo letto delle magnifiche oasi (quelle vere) nel deserto, di Luxor e del Nilo naturalmente, del Cairo. Ma sembrava che l’Egitto non volesse conoscere me. La sensazione si è fatta più forte durante un’escursione a Luxor, appunto (il Cairo l’ho volutamente evitato perché non mi sentivo sicura). Abbiamo attraversato non so quanti check-point con guardie armate di Kalašnikov da farmi davvero felice, per una volta, di esser parte di un tour organizzato. Poi durante una visita ai Colossi di Memnone, la guida si è accertata che si evitassero gli assembramenti e ci ha portato via in tutta fretta. In quei giorni si tenevano le elezioni nel paese ed io, forse un po’ ingenuamente, mi sono pemessa di chiedere alla nostra guida locale che cosa ne pensasse. La sua risposta, dopo la sopresa per la mia curiosità, è stata rapida e tagliente “Bene. L’unico candidato era il Presidente e il Presidente ha vinto”. Insomma, già allora, la sensazione che l’Egitto fosse una polveriera pronta ad esplodere era forte e mi sono sempre stupita di come la gente abbia continuato tranquillamente a frequentare le sue coste senza il benché minimo timore. Con questo non voglio dire che vadano evitati in assoluto i luoghi problematici, ma che se si decide comunque di visitarli si dovrebbe essere ben coscienti della situazione del paese ospite.
Al 2011 risalgono i fatti di quella che i media internazionali hanno salutato come “Primavera araba“. Personalmente, sono rimasta scettica rispetto al suo risultato in Egitto, che ha visto prendere il potere una frangia politica vicina al fondamentalismo islamico. Eppure, terminato il periodo degli scontri, lo sciamare dei turisti è ripreso forte come prima. Mentre il sole sembrava non tramontare mai sull’acquario di Allah gli scontri nella capitale continuavano, divenendo sempre più consistenti per sfociare infine nelle proteste del 30 giugno e nel golpe del 3 luglio. Evidentemente però il volume del gangnam style sulla spiaggia copriva le eco delle mitragliate in piazza.
Adesso tutti gli occhi sono puntati nuovamente su quel paese: che cosa succederà al grande, millenario Egitto? Si incamminerà finalmente in un lento e faticoso processo di democratizzazione -vero, però – o si chiuderà nel fondamentalismo più bieco?
Ad ogni modo sono contenta di averlo visitato, anche se in piccolissima parte, perché non so se ci tornerò mai più. Forse, un giorno, se si potrà girare liberamente per le sue città e se saranno gli Egiziani a volerlo e non qualche tour-operator italiano allora sì. Ci tornerò.

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