San Leo è un gioiellino”  mi dice sicura la nostra compagna di viaggi (e organizzatrice del blogtour a Bellaria Igea Marina), Sabina,  mentre ci inerpichiamo in auto, tornante dopo tornante, sulla collina che ospita il paese. E in quella frase scorre tutto l’orgoglio di appartenere a questa terra tipico dei Romagnoli. Non stento a crederlo perché già  il percorso di avvicinamento alla Capitale del Montefeltro, fra vigne e campi biondi, alture e borghi arroccati, mi mostra il volto che più ambivo a conoscere della Romagna: quello che sa di antico, di terra, di tradizioni e leggende. E poi mi risuonano forte le parole di Umberto Eco che asseriva “La città più bella d’Italia? San Leo: una rocca e due chiese“. Chi meglio di lui avrebbe potuto saperlo?

L’attesa di oggi è tanta proprio per quella rocca che custodisce gli ultimi segreti di uno dei personaggi più misteriosi della storia d’Italia. Anche il mio bimbo lo sa: oggi andiamo a caccia di fantasmi.

Ed ecco che presto si rivela il forte, imponente e inespugnabile e che non mostra alcuna paura ad affacciarsi paurosamente sul vuoto vigilando come un’aquila dall’alto tutta la val Marecchia. Del resto parliamo di una costruzione militare progettata da uno dei più famosi architetti del Quattrocento: quel Francesco di Giorgio Martini a cui si deve anche l’ampliamento del Palazzo Ducale di Urbino.  Fu chiamato per gli importanti lavori alla rocca  niente meno che dai Montefeltro, l’illustre dinastia che dal Medioevo aveva qui la propria sede. Difatti San Leo si trova in una posizione strategica militarmente tanto forte da essere contesa da Bizantini, Goti, Franchi e Longobardi prima, dai Montefeltro e i Malatesta agli albori del Rinascimento, quindi dai Medici e dai Della Rovere per finire sotto il dominio diretto della Chiesa dal 1631. Ed è da questo momento che qui vennero scritte alcune delle pagine più nere del passato.

Presto giungiamo nella piccola ed accogliente piazzetta da dove cominciamo la nostra gita a piedi. La sensazione è quella di trovarsi in una graziosa “bomboniera”, come la definirebbe qualcuno. Il sole fa brillare i sanpietrini dei selciati delle strade; le casette e le due chiese sono così ordinate ed armoniose che sembra quasi di stare in un presepe. Difficile immaginarsi che questo luogo un tempo fu il teatro delle atrocità e del dolore rinchiusi fra le mura massicce della Rocca. Ma subito ci introduce in un’atmosfera che sa di mistero una targa: “qui venne adagiato il corpo di Cagliostro durante il tragitto dalla fortezza al luogo di sepoltura“, recita. E’ lui che stiamo cercando e lo ricordo anche al mio bimbo: “amore, ora andiamo a cercare il fantasma, si chiama Cagliostro“.   [ctt template=”1″ link=”yFUk2″ via=”yes” ] Chi fosse Cagliostro per davvero nessuno lo sa. Un uomo che cambiò mille identità, un astuto truffatore che si prese gioco della nobiltà, fondatore di una setta misterica, un affabulatore trasformista sempre in fuga che, a un certo punto, pestò i piedi sbagliati: quelli del Santo Uffizio. [/ctt]

Sì, perché se c’è un luogo che forse può dirci qualcosa sul mago, alchimista, ladro, avventuriero, esoterista più famoso di tutti i tempi, questo è proprio San Leo. Dove il suo cuore smise di battere, ma dove prese vita una leggenda immortale. Chi fosse Cagliostro per davvero nessuno lo sa. Un uomo che cambiò mille identità, un astuto truffatore che si prese gioco della nobiltà, fondatore di una setta misterica, un affabulatore trasformista sempre in fuga che, a un certo punto, pestò i piedi sbagliati: quelli del Santo Uffizio. E così Cagliostro nel 1790 fu condannato per eresia e rinchiuso per sempre nelle segrete di San Leo. Tanto per dire, il furto più famoso che lo vede implicato è quello passato alla storia come “lo scandalo della collana”: una vicenda che ha per protagonisti personaggi come Maria Antonietta e il Cardinale Rohan, capace di affascinare scrittori come Alexandre Dumas, Isaac Asimov, Luchino Visconti, fra gli altri.  Tuttavia quel che più dispiaceva alla Chiesa di questo personaggio non era la sua abilità truffaldina,  ma il suo spirito libero ed anarchico e la sua adesione ai riti più arcani. 

Mentre rifletto sulla sua vicenda, percorrendo un’erta mulattiera, giungiamo al cospetto della costruzione militare: non si può negare la sua bellezza dalle linee pulite e volumetriche che si stagliano contro il cielo, oggi di un azzurro particolarmente intenso. Arrivati al suo ingresso veniamo dotati di una pratica guida digitale costituita da un dispositivo che ricorda un tablet. Attraverso questo congegno, perfetto per trastullare i bambini e insegnare anche loro qualcosa, conosciamo nel dettaglio tutta la storia della Rocca. Cominciamo pertanto una specie di “caccia al tesoro” fra scale, archi, pozzi, ambienti interni ed esterni.  Scopriamo dunque che il filo conduttore di tutte le storie celate dalla Rocca ha un nome ben preciso: inquisizione. La fortezza nelle mani della Chiesa fu una delle prigioni più aspre mai conosciute. Ci si finiva a seguito di un processo che era più una farsa e che stabiliva la gravità della condanna. Se si era fortunati, ci si accontentava dell’abiura e della marchiatura a fuoco del condannato, per gli altri seguivano flagellazione, “verguenza” (vergogna) per arrivare al rogo, allo strangolamento ed altre amenità.

Sul mondo della tortura qui si apprende molto grazie alle stanze allestite al primo livello del forte. Ci passo velocemente, col bimbo per mano, soffermandomi solo per fargli vedere qualche maschera dall’aspetto bizzarro. Per i più grandi tuttavia questa è una lezione sul male che l’uomo è capace di infliggere ai suoi simili e un monito a battersi per far sì che questi orrori, prima o poi, diventino solo materiale cinematografico.

Usciamo così a prendere aria sulle grandiose terrazze che regalano panorami da incorniciare. Sporgendosi si capisce che il forte è fuso con lo sperone roccioso sottostante che cade in verticale nella valle. Lo sguardo allargandosi accarezza le colline e si allunga fino al mare. Non ci sono grandi città o strade: questa Romagna sembra uno sfumato dipinto leonardesco. Dobbiamo rientrare però, perché ancora non abbiamo trovato il nostro fantasma. Stanza dopo stanza arriviamo alla prima cella che ospitò il Conte di Cagliostro. E’ una segreta umida ed angusta che non riesco ad immaginare adatta alla vita di un essere umano. Tuttavia so che questo alloggio fu ritenuto troppo comodo e poco sicuro per un mago scaltro come Cagliostro e poco dopo la sua condanna fu trasferito in una cella che prese il nome, indicativo,  di “pozzetto”. Si trattava infatti di uno spazio non più grande di tre metri quadrati, con una sola minuscola finestra verso la piazza del paese così da offrire al condannato un’unica ed eterna visione: la cattedrale. L’occultista non ci arrivò con le proprie gambe, perché venne calato al suo interno da una botola, la stessa attraverso la quale veniva anche  fornito di cibo.  Naturalmente non poteva parlare con le guardie né scrivere o compiere qualsiasi altra attività, giudicata troppo pericolosa. Oggi è stata ricavata un’apertura per permetterne la visita, ma quando ci siamo entrati non ho potuto fare a meno di interrogarmi su come sia possibile vivere in questo modo, e cosa ci sia di misericordioso in tutto questo. Da un lato si scorge un tavolaccio con dei fiori che qualcuno vi ha poggiato sopra a ricordo di questa e delle altre vittime di quell’era oscura della Chiesa Cattolica. Cagliostro fu vittima dello stesso meccanismo malvagio e corrotto sotto cui caddero anche Galileo Galilei e Giordano Bruno, emblemi del libero pensiero.

Cagliostro resistette a questo abominio circa 5 anni, in preda a visioni e deliri, fino  a morire per “colpo apoplettitco” nel 1795. Non ci fu pietà per lui, né prima né dopo la sua morte.

A questo punto noi  lo chiamiamo, perché forse la sua anima aleggia ancora fra queste mura cercando conforto nelle voci umane. “Cagliostro dove sei?” grida il mio piccolo, con tutta l’innocenza che può colorire la sua voce.  E all’improvviso ci pare di sentire qualcosa, quell’anima tormentata che mi piace pensare sia fuggita attraverso la feritoia per immergersi nella luce, pronunciando queste parole:

« La verità su di me non sarà mai scritta, perché nessuno la conosce.

Io non sono di nessuna epoca e di nessun luogo; al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere spirituale vive la sua eterna esistenza e se mi immergo nel mio pensiero rifacendo il corso degli anni, se proietto il mio spirito verso un modo di vivere lontano da colui che voi percepite, io divento colui che desidero […].

Tutti gli uomini sono miei fratelli, tutti i paesi mi sono cari, io li percorro ovunque, affinché lo Spirito possa discendere da una strada e venire verso di noi.

Io non domando ai Re, di cui rispetto la potenza, che l’ospitalità sulle loro terre e, quando questa mi è accordata, passo, facendo attorno a me il più bene possibile: ma non faccio che passare. Sono un nobile viandante? […]

Io sono Cagliostro ». 

La Rocca di San Leo, informazioni pratiche: La fortezza è il monumento di maggior richiamo del paese omonimo. Oltre a Cagliostro al suo interno furono detenuti eroi risorgimentali, quali Felice Orsini, del quale si può visitare la cella.  La fortezza è aperta tutto l’anno, gli orari precisi li trovate sul sito di promozione turistica di San LeoLa visita in fortezza, per singoli visitatori o per gruppi organizzati è possibile in maniera autonoma, con guide proprie o con l’utilizzo dell’audioguida (gratuita ed i lingue diverse) distribuita in biglietteria.

Per le scolaresche o altri gruppi che vogliono effettuare una visita con accompagnatore interno  è possibile farlo, senza costi aggiuntivi, prenotando telefonicamente il servizio, con almeno 15 giorni di anticipo, presso l’ufficio IAT di San Leo. Per i costi aggiornati, vi consiglio di visitare sempre il sito ufficiale. La fortezza è raggiungibile a piedi o con navetta, anche per quest’ultima consultate il sito.

San Leo, cosa vedere oltre alla Fortezza: benché sia un piccolissimo borgo, San Leo custodisce molti monumenti da visitare, fra cui: La Cattedrale romanica e la Pieve di Santa Maria Assunta, di origini ancora più antiche; il Museo di Arte Sacra con sculture lignee e dipinti provenienti dal territorio, la Torre Campanaria e il Palazzo Mediceo.

Dove dormire per un’escursione a San Leo: durante il mio soggiorno in Romagna, abbiamo alloggiato presso il Blu Suite Hotel di Bellaria Igea Marina. Potete leggere la mia recensione qui.

La curiosità in più: Cagliostro è il nome di un gatto nero dall’immenso potere nella serie a fumetti  Dylan Dog, della Sergio Bonelli editore: sicuramente un omaggio al famoso occultista.

Post in collaborazione con Ufficio turistico Bellaria Igea Marina. Rivolgetevi a quest’ufficio per organizzare un soggiorno in Romagna e per tutte le escursioni sul territorio.

 

 

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