Il carnevale di Suvero, in provincia della Spezia, è stato per me una vera sorpresa. Sono sempre a caccia di tradizioni particolari, per le quali mi sposto volentieri ovunque nel mondo e non avrei pensato che anche rimanendo a casa avrei scovato qualcosa di diverso dal solito, di particolare e di unico. Ed invece è proprio così. Per più volte infatti durante la visita al paesino spezzino la mia mente è volata via, come staccata dal corpo, per approdare in altri luoghi, soprattutto in Sardegna, regione con la quale il carnevale di Suvero ha molte affinità, ma anche altrove.
Suvero è un piccolo borgo montano incastonato fra le colline spezzine e quelle emiliane. Per arrivarci, dall’abitato di Rocchetta Vara, ci si inoltra fra le alture mediante una strada un po’ scomoda e dissestata che contribuisce a segnare il passaggio alla dimensione, lontana dal nostro vivere comune, della ruralità: fra boschi di conifere e un vento freddo e pungente. Proprio lì, in mezzo a pini altissimi, sorgono le sue case, la sua chiesa e il suo castello e proprio lì, non a caso, si ritrovano riti arcaici che ci riportano al tempo in cui la quotidianità dell’uomo era scandita dai ritmi della natura. Un’era dimenticata in cui, più di ogni altra cosa, il succedersi di inverno e primavera era rivestito di profondi valori simbolici. Era questo il momento in cui si festeggiava il ritorno nei campi e la fertilità della terra tramite culti il cui significato originario ci sfugge, ma dei quali possiamo riconoscere le vesti nelle festività tradizionali: come il Carnevale dei Belli e dei Brutti di Suvero, appunto.
Due sono infatti le maschere che si contrappongono in questa sfilata: i brutti che, con le loro corna, i velli ovini e i ghigni grandguignoleschi, mi hanno ricordato moltissimo i mamuthones sardi ma anche i krampus altoatesini ; e i belli, in abiti sgargianti e colorati, coronati da cappellini da cui scendono lunghi nastri multicolore.
Da una parte l’inverno, il buio, il freddo dei mesi più rigidi, dall’altra, il risveglio di “flora“, come in un quadro del Botticelli, pronta a scaldare i cuori e a celebrare la vita.
La festa ha inizio il mattino presto, quando i ragazzi del paese con i loro scenografici abiti vanno di casa in casa suonando la fisarmonica e altri strumenti tipici. Ma il cuore della manifestazione risiede naturalmente nella sfilata del pomeriggio. Ad annunciarla è il frastuono inconfondibile dei campanacci dei Brutti. Fin dal nostro arrivo questo coro rumoroso, e ormai familiare, ha rappresentato la genuina colonna sonora dell’evento. Poi il suono particolare di una conchiglia ha dato il via alla processione.
Devo dire che il mio immaginario ha subito più il fascino dei brutti che dei belli: questo improvviso correre di diavoli, alcuni dei quali molto moderni e con riferimenti al cinema horror anni 80, mi è sembrato molto più autentico delle sfilate di carri allegorici a cui siamo abituati. E poi quel contrasto apparente fra elementi antichi, le pelli di caprone, il suono di corni e campanacci e oggetti moderni, quali le maschere in lattice, gli immancabili cellulari e i pick up usati a mò di carro, mi ha fatto percepire quanto questa tradizione sia alimentata da una linfa vitale che scorre nelle genti del borgo ed è per questo che è fieramente tramandata di generazione in generazione.
Il segreto della festa è che gli abitanti la portano avanti per se stessi: qui non c’è ombra di turisti. Il suo spirito è emanato in maniera inconfondibile anche dai profumi del banchetto, organizzato per chiunque voglia prender parte al divertimento, a base di piatti più tipici. Come a dire: gli ospiti sono i benvenuti, l’importante è condividere la festa insieme.
Naturalmente non ho potuto fare a meno di notare le meravigliose assonanze fra questo carnevale ed altre manifestazioni, forse più note, del resto d’Italia. Penso, come già detto ai mamuthones sardi, prima di tutto, ma poi scopro una carrellata di eventi che sembrano tutti sorgere da una matrice comune: il carnevale di Tricarico, a Macerata; quello di Rocca Grimalda – per questa edizione ospite della festa; quello di Schignano in Lombardia; le maschere dei krampus tirolesi; il carnevale di Tufara, in Molise e, sono sicura, molti altri che ancora non conosco. È bello pensare che, nonostante ognuna di queste celebrazioni abbia poi sviluppato le proprie peculiarità, ci sia un filo rosso sotterraneo che unisce popoli e culture. Bisognerebbe prenderlo in mano e tenerlo ben stretto.
Carnevale dei belli e dei Brutti di Suvero, informazioni pratiche: per raggiungere il paese bisogna percorrere l’A12 e uscire al casello di Borghetto di Vara, prendere per Brugnato e Rocchetta di Vara e, una volta raggiunto questo borgo proseguire fino a Suvero. La sfilata si tiene generalmente l’ultimo sabato di carnevale.
Un carnevale unico nel suo genere un’esperienza unica da vivere Bravi!!
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