Domenica, dopo un’estate, un viaggio in America e un matrimonio, abbiamo finalmente rimesso piede nelle nostre amate Alpi Apuane. Da tantissimo tempo desideravo fare questo giro prettamente autunnale per godermi la vista della cima del Sumbra nella sua veste migliore: quella con i boschi rossicci e i prati biondi prima che l’inverno spenga i colori del paesaggio.
L’escursione prende avvio dal borgo di Arni: un minuscolo abitato, frazione del Comune di Stazzema, a quota 916 m, che conta ben 157 abitanti! Arni, non lascia dubbio sulla sua vocazione: marmo, marmo e ancora marmo. Siamo infatti nel cuore del “distretto”, se così si può dire, marmifero delle Apuane. E ovunque, dirigendosi verso il borgo, si possono vedere le montagne macellate dalle cave che mostrano il loro ventre scavato. Da qui, raggiunto un piccolo parcheggio pubblico, si imbocca il ben segnato sentiero CAI 144 diretto al Passo Fiocca (il cartello dice in 2,30 ore). Immediatamente il sentiero comincia ad inerpicarsi ripido fino al crinale sovrastante, dapprima su un pendio erboso e poi sulla nuda roccia. Giunti alla prima sella, il percorso riprende fra tratti erbosi e rocce fino a giungere al Passo chiamato… Malpasso (1425 m). Non so perché si chiami così, visto che non è particolarmente infido e, anzi segna la fine del primo ripidone…All’improvviso immagino pastori avvolti nella nebbia seguiti dalle loro pecore mentre percorrono il tracciato in direzione opposta alla nostra: arrivano stanchi fino alla sella, guardano gli animali e guardano giù. Sanno che perderanno qualche pezzo del gregge qui e maledicono questo punto. E’ solo un’idea, ma forse adesso intuisco meglio l’origine di questo nome così sinistro. Il Malpasso è un punto altamente panoramico: alla nostra destra in basso si scorgono le cosiddette “canne d’organo” una formazione carsica tanto particolare da essersi meritata questo nomignolo. Proprio lì si trova il primo salto delle Marmitte dei Giganti: frutto del magnifico lavoro dell’erosione fluviale. Più distanti si notano le sagome inconfondibili delle Panie; sulla sinistra invece si riconosce l’incanto del bosco del Fato Nero: una macchia dorata di faggi che, come una pagliuzza dorata, riluce in mezzo ai prati; di fronte, la mole squadrata del monte Sumbra domina maestosa sullo scenario.
Il percorso procede quindi in falso piano fino a un punto attrezzato con cavo d’acciaio in cui è meglio prestare un po’ d’attenzione poi, presto, si inoltra nel bosco del Fato Nero.
Già il nome di questa foresta ispira magia e, certo, sarebbe potuto piacere a Tolkien. Si dice infatti che proprio nel bosco del Fato Nero si nasconda il famigerato Linchetto: un folletto dispettoso conosciuto in tutta la Lucchesia. Spesso il Linchetto è assimilato al Baffardello che ne sarebbe la versione massese, più burlona e meno maligna. Secondo alcuni, il Linchetto non sarebbe altro che l’Incubus: il famoso demonio che tormenta il sonno immortalato nella celebre rappresentazione pittorica di Johann Heinrich Füssli.
E’ curioso pensare come non esistano molte raffigurazioni di questo soggetto e riflettere sulle bizzarre connessioni fra leggende popolari e storia dell’arte (con la A maiuscola). Allo stesso tempo è affascinante scoprire come queste creature non siano altro che sopravvivenze delle credenze rurali precristiane.
D’altra parte, non è difficile comprendere come questo luogo possa avere ispirato leggende e racconti: si tratta di una faggeta così ordinata da far pensare che sia coltivata. A terra le foglie ambrate si stendono come un lenzuolo sul terreno, mentre verso l’alto i rami si intrecciano lasciando filtrare sottili lame di luce dorata. Ogni tanto lungo il percorso si incontrano piccoli torrenti che scendono rapidamente a valle.
Presto si esce anche dal bosco del Fato Nero e la vista si fa più aerea, spaziando lungo le coste erbose. Adesso la figura tozza del monte Sumbra ci fa compagnia, fino a quando non arriviamo al passo detto Contapecore. In questo caso non è difficile risalire all’origine del toponimo. Sulla selletta infatti si trova un arcaico “contapecore” di pietra, che ci ricorda come queste montagne siano state frequentate per secoli dalle genti del luogo prima che da alpinisti ed escursionisti. Ci sediamo in questo punto per riposarci un po’. Il paesaggio è magnifico: di fronte a noi il Sumbra, poi le Panie. Non c’è nessuno intorno a noi e si respira una pace magnifica. A un certo punto, qualcosa cattura la nostra attenzione…. Hey! Un momento! Ma quelli sono mufloni! Un branco di mufloni sta scendendo, in effetti, rapido dal versante occidentale del monte e noi non perdiamo occasione per fotografarli.
Da questo punto il sentiero riprende in lieve salita fino a giungere al Passo Fiocca (1560 m): una colata di pietra bianca e calcarea davvero lunare. Siamo proprio sotto la vetta del Sumbra. Adesso riusciamo ad abbracciare con lo sguardo anche il Sella, la Tambura, la Roccandagia, e poi in basso la valle della Garfagnana con il lago di Vagli: la tavolozza di colori autunnali data dall’alternarsi del ramato dei boschi, il paglierino dei pendii erbosi e il verde che resiste in alcuni punti come struggente addio all’estate, è tale da reggere a testa alta il confronto con il ben più noto foliage canadese.
Da qui, opportunamente attrezzati e preparati, si può proseguire per la vetta con il sentiero attrezzato 145 (Ferrata Malfatti). Noi proseguiamo per il 144 e ci portiamo in breve tempo al Passo Sella. Arrivati al passo, prendiamo quindi la riconoscibilissima strada marmifera che, con ripidi tornanti, ci ricongiunge col borgo di Arni.
In definitiva, si tratta di un’escursione bellissima da fare in giornata, ma non si può dire sia adatta a tutti. Se non si abituati ai sentieri apuani potrebbe intimorire… i tratti attrezzati ed esposti richiedono una certa cautela.
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