Come ogni volta che ci rechiamo in Sardegna, anche nella nostra ultima visita ci siamo dedicati alla scoperta del suo magico entroterra e come sempre l’isola è riuscita a stupirci! Questa volta abbiamo puntato dritti sul paese di Bitti: un’escursione troppe volte rimandata. Bitti è uno dei centri più conosciuti del Nuorese, anche grazie alla fama raggiunta dal suo gruppo musicale I Tenores di Bitti. L’abitato si è sviluppato in una valle circondata da tre colli, in un contesto naturale aspro, fatto di montagne granitiche, ruscelli impetuosi e macchia mediterranea. Qui si trova anche una delle foreste storiche della Sardegna Sos Littos, che dà rifugio a daini, cinghiali, volpi, gatti selvatici e molti altri animali. Già arrivare a Bitti è un percorso davvero suggestivo, che permette di addentrarsi pian piano in questa Sardegna arcaica e seducente. Dopo una lunga strada panoramica fra paesaggi brulli e solitari, Bitti saluta il visitatore col suo campanile svettante e le sue case ammassate color fango. Il centro storico si arrotola sinuoso come una biscia verso l’alto. Si cammina in vicoli ombrosi fra archi, edifici pastello e pietra; qualche icona votiva e un silenzio avvolgente.
Nell’ampia piazza circolare che segna l’ingresso nel paese si incontra la curiosità dei vecchini e la gentilezza dei suoi abitanti.
Naturalmente a Bitti si possono compiere alcune visite molto interessanti.
Museo multimediale del canto a Tenore: la prima, che è stata uno dei motivi della nostra gita, è quella al Museo Multimediale del Canto a Tenore. Il centro è nato nel 2005 allo scopo di valorizzare e diffondere questa tradizione canora unica al mondo. Il canto polifonico, di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo, è una delle tradizioni più antiche dell’isola e si pensa che possa esser nato addirittura in epoca nuragica. Il bello di questo museo è la possibilità di poter apprezzare le variabilità locali dell’esecuzione, grazie alle quattro colonne audiovisive che riproducono le quattro parti vocali del canto. Ogni voce può essere isolata così da poter meglio comprendere le peculiarità degli stili e l’armonia che nasce mediante la sovrapposizione delle parti. All’interno del Museo poi, si può approfondire la conoscenza di questa tradizione mediante filmati, fotografie, testi e video-interviste. Insomma: un’autentica immersione nella realtà di questa musica, dal 2005 annoverata nel Patrimonio immateriale dell’Unesco.
Museo della Civiltà Contadina e Pastorale: adiacente al Museo del Canto si trova il museo etnografico: all’interno si compie un salto nel tempo per vivere una giornata nell’antica civiltà rurale sarda. Gli ambienti sono suddivisi secondo i lavori e le occupazione che tradizionalmente svolgevano uomini e donne. Affascinante è seguire il filo della tessitura, arte riservata alle abili mani femminili: si percepisce ancora il calore domestico e risuonano nella mente le chiacchere fra donne davanti al telaio. In un angolo si trovano una culla ed un rudimentale girello e si sorride a pensare ad un lavoro vecchissimo tutto in rosa: quello della mamma.
Si può poi conoscere l’arte della panificazione che oggi come allora dà origine al fragrante pane carasau. In cucina fa bella mostra di sé una cassapacanca in legno, finemente intagliata con le tipiche gallinelle. La guida ci spiega che quante più penne mostrava nella coda l’animale, tanto più la famiglia era abbiente. Non mancano naturalmente stanze dedicate al lavoro nei campi e all’allevamento: attività prettamente virili. Bellissima infine la stanza padronale con i mobili scuri e le coperte ricamate.
Area Nuragica di Su Romanzesu: poco distante da Bitti si trova questa zona nuragica che da sola giustifica il viaggio fin qui. A dire il vero, a noi è occorsa una strana avventura che ha reso la visita un po’ più rocambolesca del normale… Il complesso di Su Romanzesu si trova infatti in una spettacolare foresta di querce da sughero che in questo periodo è infestata di bruchi!
Una cosa del genere non mi era mai capitata: avevo già visto molti bruchi negli Stati Uniti, vicino a a Page, in Arizona, ma davvero non ero preparata a quest’invasione! Milioni di bruchi, per fortuna non urticanti, che si cibano delle foglie delle querce.
Bruchi ovunque: per terra, sugli alberi, penzolanti sopra le nostre facce. Ci hanno spiegato che si tratta di un fenomeno rarissimo che accade più o meno ogni dieci anni. Quindi, se state programmando una gita da queste parti, non abbiate timore! Molto probabilmente non ce ne saranno più. Il personale dell’ufficio informazioni turistico di Bitti è stato con noi gentilissimo, avvisandoci prima della nostra visita… sono sicura lo saranno anche con voi. Mi è dispiaciuto un sacco perché, anziché concentrarmi sulla visita, ho passato il tempo a controllare che i simpatici animaletti non salissero sulle scarpe e sulle spalle.
Ed è un vero peccato. L’area risale alla media età del bronzo e inizialmente consisteva in un gruppo di capanne che attorniavano una sorgente. Successivamente il villaggio venne ampliato e si arricchì di edifici monumentali e dello stupefacente tempio a pozzo gradonato che è un vero gioiello di architettura non solo nuragica, ma direi preistorica in generale.
Si tratta di un’altra testimonianza del misterioso culto delle acque analogo a quello di Sa Sedda e Sos Carros di cui vi ho già parlato.
Come arrivare a Bitti:da Olbia si imbocca la SS 131 bis direzione Siniscola-Nuoro e poi bisogna deviare al bivio Dorgali-Bitti per Bitti.
Dove mangiare:noi abbiamo pranzato nello splendido hotel tradizionale Su Lithu. Ve lo consiglio!